Stanotte il cielo cadrà: Daniel F. Galouye tra metafisica ed esistenzialismo, dal velo di Maya al paradigma olografico

di X, 27/09/2008

Una riflessione intorno alla doppia novella di Galouye, pubblicata in "Urania Collezione" la scorsa estate.

Senza sapere bene come, per una fortunata serie di coincidenze che dall’eredità di un parente sconosciuto si spinge a un’infilata di investimenti particolarmente azzeccati, Tarl Brent si ritrova non ancora trentenne sulla soglia del milione di dollari. Dopo aver rischiato di sprofondare nel baratro dell’alcolismo, adesso è tuttavia troppo preoccupato per potersi godere il successo: da qualche tempo è ossessionato dall’impressione di essere sotto costante osservazione, al centro delle imperscrutabili attenzioni di un gruppo di estranei. All’improvviso, la sua vita risulta stravolta dall’interferenza di oscuri personaggi che sembrano seguirlo passo dopo passo, intervenendo senza esitazione solo quando qualche pericolo minaccia il suo cammino. Quando, a seguito di tre incontri consecutivi con altrettante bellissime donne, Tarl s’imbatte in un parco deserto in Marcella Boyland, la donna con cui avrebbe voluto dividere la sua vita, fuggita tre anni prima dalla sua dipendenza e dalle sue manie autodistruttive, ogni cosa pare sul punto di connotarsi di un significato fin troppo preciso.
L’altalenante condizione di Brent tra la paranoia e la ritrovata serenità si dipana tra crisi sempre più violente e la puntuale descrizione che esse producono nell’ordito della realtà. In Stanotte il cielo cadrà (Tonight the Sky Will Fall!, romanzo breve del 1952), Daniel F. Galouye gioca a carte scoperte con il lettore: non si preoccupa di nascondergli l’intrigo architettato alle spalle del protagonista da un’organizzazione segreta (la Fondazione), né di mascherare le finalità del progetto. L’obiettivo dell’Operazione Preventiva risulta anzi chiaro fin da subito, come chiare sono le buone intenzioni del misterioso Direttore Capo. A tenere il lettore incollato alla pagina riesce benissimo il progressivo precipitare degli eventi, con continui ribaltamenti di prospettiva: man mano che certezze acquisite come costanti naturali e leggi fisiche vengono meno, si viene trascinati verso l’epilogo dalla curiosità di scoprire quale forma assumerà il mondo, una volta sfilato l’ultimo velo.
Quello che sorprende di più di quest’opera è forse proprio l’estrema sicurezza dell’autore, la sua convinzione di poter avvincere il lettore anche senza indulgere nel trionfo degli effetti speciali o nell’ossessione della sorpresa a tutti i costi. Con una sapiente economia di stile e di mezzi (che ricorda quella di un altro grandissimo artigiano ospitato da “Urania Collezione” qualche mese fa, Wilson Tucker) Galouye dimostra ancora una volta, se mai ce ne fosse bisogno, quanto efficace possa essere un genere come la fantascienza, anche nelle sue opere per così dire meno rappresentative e rinomate.

Il progetto

Lo scopo dell’Operazione Preventiva è garantire la serenità di Tarl Brent per evitare che la “cosa” che è stata individuata in lui possa ridestarsi del tutto dal suo sonno ancestrale e distruggere la realtà come noi la conosciamo. Ne hanno già fatto le spese il pianeta Mercurio (scomparso nel nulla), la velocità della luce (improvvisamente rallentata), la legge di Avogadro, la scala dei suoni e la radioattività. E tutti questi eventi risultano collegati tra loro e riconducibili a un unico responsabile.
[…] la “cosa” o l’Intelletto che è in te – apprende a un certo punto Tarl – è l’unica realtà esistente”.

Non c’è nient’altro di vero. Neppure lo spazio. Neppure il tempo. Nemmeno la materia. Solo l’Intelletto, solo quell’intangibile e incorporea potenza raziocinante è reale! Quello, e solo quello, è l’universo. Tutto esiste soltanto come prodotto della sua immaginazione!

Questo punto di vista, che echeggia la vecchia scuola dell’idealismo romantico e allo stesso tempo, attraverso le suggestioni seicentesche di Calderòn de la Barca e i richiami di Schopenhauer al velo di Maya, sembra quasi preludere alla formulazione del discusso paradigma olografico dell’universo, viene ribadito poco più avanti:

I nostri direttori […] ritengono che l’intero universo, tu e la tua mente attiva compresi, sia solo parte di un modello di pensiero scaturito da… da questo Intelletto. Credono che questa entità abbia creato in un arco di tempo indefinito tutto ciò che conosciamo, seguendo un impulso originato dalla solitudine. Forse all’inizio ha creato te, o uno dei tuoi antenati. Se tu sei stato il primo, allora l’Intelletto ha costruito anche la storia dell’universo, nonché una memoria collettiva e individuale per ogni creatura che lo abita. Se invece l’Intelletto ha creato prima un tuo antenato, allora è trasmigrato da un corpo all’altro lungo la sua discendenza, fino ad arrivare a te. Dopo la creazione per un po’ l’Intelletto si è compiaciuto di ciò a cui aveva dato forma. Poi è caduto in uno stato di inattività e ha relegato al proprio subconscio il compito di controllare gli oggetti e le azioni di tutti gli abitanti dell’universo.

Molti e sorprendenti risulteranno al lettore più navigato i contatti con la mitologia gnostica tanto cara a Philip K. Dick, come pure con le teorie della mente e dell’universo che sarebbero state elaborate da David Bohm e Karl Pribram a partire dagli anni ’70 per confluire poi in un modello olonomico del tutto. E contemporaneamente sorprende la semplicità con cui Galouye sia riuscito a coniugare – prima che le provocazioni degli anni ’60 ne imponessero la contrapposizione – quelli che oggi chiamiamo inner space e outer space.
Come? È presto detto.
Dopo che l’Intelletto ebbe “creato coscientemente solo un embrione di universo”, tutto si completò nel seguito, “come frutto di impulsi subconsci della “cosa”, dopo che la sua parte cosciente era caduta in letargo”. Adesso che la “cosa” pare sul punto di ridestarsi, l’ordine delle cose è sul punto di venire rimesso in discussione: di fronte al livello di complessità raggiunto dall’universo, l’Intelletto avrebbe serie difficoltà a elaborarne una interpretazione logica e la conseguente comprensione.
A minacciare la realtà è la perdita di sicurezza da parte dell’uomo, seguita alla perdita dell’amore. Potrebbe sembrare banale, la metafora dell’amore come forza salvifica, un espediente da kolossal di scarse pretese, ma vedremo come Galouye riesce a nobilitare anche agli occhi del lettore d’oggi quello che ormai si è imposto come un tema abusato.

L'Operazione Utopia

L’amore portato in scena in Stanotte il cielo cadrà e ripreso nel suo seguito, The Day the Sun Died (1955, incluso nel presente volume), non ha niente di idilliaco e ben poco di romantico. È un amore umano, un amore comune, eccezionale quanto può esserlo un sentimento nel nostro quotidiano, niente a che vedere con amori dell’altro mondo con cui pure sarebbe stato facile confrontarsi, in un affresco metafisico come quello dipinto da Galouye. È talmente radicato nel “nostro” mondo da non sottrarsi alle sue logiche e si accompagna alla violenza, che specie nelle pagine iniziali viene tirata in ballo con una costanza che sembra volere echeggiare l’orrore della distruzione inscenata nell’epilogo del precedente lavoro.
Tarl non somiglia affatto all’eroe predestinato, all’eletto di cui è infarcita tanta letteratura – epica, mitopoietica o solo roboante. È piuttosto un uomo comune, proprio come tanti altri, e la caratteristica di sintetizzare in sé le forze del macrocosmo e quelle del microcosmo non lo rende unico al mondo, perché “spazio, distanza, movimento, esistenza sono solo un’illusione. Nessun oggetto o individuo è separato da Brent, neppure in misura infinitesimale. Ogni apparente prova contraria è solo un’allucinazione. Ne consegue che, se noi esistiamo con lui, allora lui non può essere in rapporto diretto con la “cosa”. Non più di quanto lo sia ciascuno di noi”. Da notare la deduzione emblematica dall’universale al particolare, ancora una volta.
La Fondazione, riorganizzatasi dopo gli eventi che portarono quasi all’estinzione della realtà, comincia a maturare propositi più ambiziosi. I suoi direttori sono gli unici a conoscere la verità e, com’è naturale, si mette in moto una battaglia sotterranea tra quanti vogliono sfruttare le immense potenzialità della “cosa” a fin di bene e quanti cospirano nell’ombra per trarne solo il massimo vantaggio personale possibile. La “cosa”, per quanto sopra detto, s’identifica ormai totalmente, visceralmente, con Brent, e questo fa del protagonista una marionetta nelle mani di forze superiori, complice l’amnesia a cui lo ha condannato il nuovo letargo dell’Intelletto.
Ma ancora una volta i piani degli uomini verranno sconvolti dal loro progressivo interferire con questa forza metafisica e primigenia, creatrice della realtà. E stavolta il suo risveglio passerà attraverso l’anamnesi di Brent, la tanto temuta Situazione Z, il suo personale risveglio che in termini gnostici potremmo definire “dimenticanza dell’oblio”.

Ritrasse la barriera mentale che aveva innalzato. Subito un pensiero penetrò nel suo cervello… Un ricordo… Falso… Una frase non sua; una frase che non aveva mai udito prima: universo puntiforme.
Cosa significava? Quelle parole si ripercossero nel suo cranio, come ripetute dall’eco di una caverna infinita. […]
Un altro ricordo falso: il vago concetto di un Intelletto infinito, universale. Tutto era in lui, e lui era tutto. Ciascuna particella di materia aveva un’ampiezza macroscopica, nel proprio microscopico universo… nel suo universo puntiforme. E allo stesso tempo, la galassia più estesa, l’intera, infinita complessità della creazione, era del tutto insignificante, minuscola nelle illimitate estensioni della più piccola particella di realtà… Il punto privo di dimensioni circoscriveva tutto.

Ancora una volta i riferimenti alla filosofia classica (Platone in primis) e alle dottrine dello gnosticismo è evidente nella progressiva riappropriazione del passato e della coscienza. È qui che la nuova vita di Brent va a saldarsi con i fatti raccontati nella novella precedente, accaduto di cui adesso ricostruisce a poco a poco il mosaico.

In qualche modo aveva attinto alle capacità di riflessione dell’Intelletto. E ora, servendosi del suo iper-raziocinio, comprese tutto ciò che gli stava capitando.
… Esisteva una Fondazione di scienziati i quali anni prima, collegando il fisico al metafisico, avevano scoperto che l’universo non era composto da materia fisica, ma era solo un’intelaiatura di pensieri. Un universo immaginario.
Nulla esisteva realmente tranne il pensiero. Il pensiero di un Intelletto infinito e incorporeo. E quell’Intelletto, già esistente nel nulla adimensionale che aveva preceduto l’universo, aveva alleviato il proprio sconfinato senso di solitudine immaginando una realtà.

Forte della sua nuova consapevolezza, Brent comincia a piegare le facoltà dell’Intelletto per far fruttare “il principio della sua identità con l’intero universo”, per muoversi nello spazio, ma simultaneamente l’attacco sferrato dai cospiratori determina un collasso temporale che proietta il mondo al di là dell’orizzonte di vita del Sole e della Via Lattea nel suo complesso, in un abisso di tenebra da cui nulla – nemmeno l’estrema difesa di Brent – sembra in grado di poterlo redimere.
Il buio, la notte cosmica e assoluta, diventa così l’ultima proiezione dell’angoscia di Tarl Brent, il timore di perdere l’amore e ritrovarsi condannato alla disperazione della solitudine. Anche qui, come nel caso della violenza, i riferimenti si sprecano, a partire da questa frase paradigmatica:

Solo e triste si alzò nel vuoto universale di ciò che era attorno a lui.

Una condizione che ritroveremo anche in Dick, spesso, ma soprattutto nella cupa San Francisco assediata dal Kipple del Cacciatore di androidi (Do Androids Dream of Electric Sheep?, 1968), in cui il cacciatore a premi del titolo, nell’assolvimento del proprio incarico di sterminio sistematico ai danni degli androidi (cose umanoidi), si riscoprirà “distruttore delle forme” e, per questo, “cosa” a sua volta. Un oggetto che trascende la natura umana e non condivide con essa nient’altro che la forma esteriore. Questa consapevolezza proietterà Dick/Deckard nelle spire di una crisi esistenziale, esponendolo allo scacco eterno del mondo.

Situazione Z

La reazione di Galouye è meno nichilista. Portato oltre l’orizzonte degli eventi, l’uomo non si rassegna ma si adopera per escogitare una via di fuga. Su un campo le cui regole di gioco sono perennemente in via di definizione non è difficile. A patto di disporre della giusta volontà.
Mentre il mondo collassa sotto il suo peso, confondendo realtà fisica e immaginario, storia e mitologia, Tarl Brent trova la forza per sovvertire un’ultima volta l’ordine delle cose. Questa volta la sua sfida assumerà i connotati di una vera e propria lotta contro l’Intelletto, il cui risveglio si è accompagnato a una cieca determinazione nel proposito di cancellare l’universo. Il suo gesto finale, per quanto perda tutta la carica eroica che potrebbe assumere un gesto simile se fosse accompagnato da qualche misura di sacrificio, rifulge però proprio della sua dimensione umana, intima.
Rinunciando al macrocosmo che potrebbe avere in pugno correndo il rischio di domare la cosa, Tarl Brent si accontenta del suo cosmo privato. Un mondo fatto dai suoi amici, che gira intorno a Marcella Boyland.
Tarl Brent è una Singolarità che rappresenta ognuno di noi. E ognuno di noi è, nella sua Singolarità, Tarl Brent.

Stanotte il cielo cadrà è uscito ad agosto in "Urania Collezione" (n. 67), con un interessante e accurato saggio di Gianfranco de Turris come postfazione. Giuseppe Lippi si è a sua volta pronunciato sull'argomento nel suo editoriale agostano su Urania Blog. Una precisa recensione del volume, a cura di Giampaolo Rai, è stata pubblicata da Fantascienza.com. Assolutamente stupenda è la copertina firmata da Franco Brambilla.

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