Alan Moore: uno straordinario, grande (auto)escluso

di Marco Scardamaglia, 15/06/2009

Una rapida carrellata sulla vita e la sconfinata produzione di Alan Moore, per sua stessa scelta – com’è ormai consuetudine, quando una sua idea viene adattata per il cinema – il grande assente dietro l’arrivo sugli schermi di Watchmen. Per comodità e questioni di spazio, Marco Scardamaglia si è concentrato sugli eventi e sulle opere principali, tentando di tracciare un’idea del Moore-pensiero. – FF

I suoi primi diciassette anni, dal 1953 in poi, Alan Moore li passa nella natia Northampton a nutrirsi di fumetti Marvel e DC Comics e di riviste come “The Mighty Crusades”, “Mad”, “Arcade”, “Graphic Story Magazine” e “Oz”, ma anche dell’opera di William Seward Burroughs, Thomas Pynchon e Michael Moorcock, organizzando lo smercio scolastico di LSD per poi entrare nel mondo del lavoro come tosatore di pecore, portiere, addetto alle pulizie e magazziniere. Il suo battesimo creativo avviene presso il Northampton Arts Lab, dove contribuisce alla pubblicazione delle riviste “Embryo” e “Rovel”. I primi anni ‘70 sono gli anni in cui si interessa all’attivismo politico, conosce e sposa Phyllis (dalla quale avrà due figlie) e tenta di aprirsi un varco nel mondo della musica – sua altra passione assieme al fumetto e alla letteratura – iniziando la collaborazione con riviste musicali come “New Musical Express” e “Sounds”. Ma sono la pubblicazione della striscia umoristica Maxwell the Magic Cat sul quotidiano locale “Northampton Post” con lo pseudonimo di Jill Deray e, soprattutto, le 10 sterline che gli fruttava ogni settimana che lo spingeranno a buttarsi a piè pari nella scrittura.

L’amicizia con Steve Moore, collaboratore della Marvel UK che gli propose di realizzare storie per i settimanali Star Wars e Dr. Who, e la sua collaborazione con la mitica rivista underground 2000AD fecero il resto, catapultandolo a pieno titolo nel mondo del fumetto professionale. Da questo punto in poi la produzione di Alan Moore subisce un salto esponenziale di qualità, ma soprattutto di quantità. Per avere una visione d’insieme, ci soffermeremo sulle opere principali.

Nel 1982, per Dez Skinn (esperto editor di fumetti) e la rivista “Warrior”, Alan Moore realizza due pietre miliari del fumetto: Marvelman e V per Vendetta.

Marvelman (poi ribattezzato Miracleman per evitare problemi legali con la Marvel Comics) può essere considerato la prova generale per i Watchmen: Moore riprende un personaggio ideato da Mick Anglo, pubblicato dalla DC dal 1953 al 1963 e poi abbandonato, spostando le sue avventure dagli innocenti anni ‘50 ai più pericolosi e oscuri anni ‘80, avviando in buona sostanza le prove tecniche per quello che oggi è noto come “revisionismo supereroistico”. La formula è tanto semplice quanto innovativa: non più supereroi con superpoteri, ma supereroi con superproblemi. Considerato il primo supereroe britannico, Micky vive avventure tipiche della cosiddetta golden age dei fumetti: epoca giocosa in cui non ci si preoccupava troppo degli effetti realistici che l’esistenza di un supereroe potesse avere sul mondo (un periodo in cui, per intenderci, Capitan America poteva prendere a pugni il Führer) e non si badava neanche alla coerenza delle storie di numero in numero o all’evoluzione della serie (definizione di continuity, come nelle serie televisive). Era anche uso comune dare queste testate in mano al primo che passava davanti la porta della redazione: così nacque per esempio Spiderman, ma questa è un’altra storia... Miracleman è recentemente tornata alla ribalta a causa di una disputa legale sui diritti di pubblicazione del personaggio. La querelle coinvolge Neil Gaiman, invitato da Moore a proseguire il fumetto, Todd McFarlane, che asserisce di averne regolarmente acquistato i diritti insieme al catalogo della fallita Eclipse Comics e altri contendenti. La faccenda sembra ancora lontana da una soluzione, malgrado Joe Quesada abbia asserito la propria disponibilità a ripubblicare per la Marvel Comics l’intera serie.

V per Vendetta è ambientato in una Gran Bretagna distopica e racconta le vicende di un ribelle anarchico mascherato da Guy Fawkes che si oppone al regime fascista che ha conquistato il potere, cercando di avviare al contempo un processo di sensibilizzazione etica delle masse. La serie, disegnata da David Lloyd, è una critica feroce ma non esplicita al governo di Margaret Thatcher. V, il protagonista, “demolisce tutto come un Nietzsche del fumetto senza cercare di creare nessun establishment ma di fatto creando qualcosa”, dichiara Moore in un’intervista, affermando anche di credere “ancora nell’anarchia e [in un] mondo migliore senza leader supremi”. I richiami al governo paranazista nel fumetto vengono usati per rappresentare una sicurezza quotidiana cartoonizzata, estrema e ridicola nel suo estremismo, banalizzata per enfatizzare i tratti distintivi (semplificativi della realtà e riduttivi delle sue sfaccettature) dei totalitarismi.

Nel 1983 è la volta di Swamp Thing, ovvero Alice nel paese delle DC meraviglie. L’essere della palude rinasce da una collaborazione bilaterale tra Moore e i disegnatori della serie (Steve Bissette e John Totleben), tutto via fax. Viene così spostata l’attenzione su Swamp Thing non come essere umano che ha subito una mutazione a causa di un esperimento scientifico sfuggito di mano, ma come Colosso Ecologico, guardiano delle realtà e crocevia egli stesso di infiniti mondi al di là della consunta e arida quotidianità, spostando di fatto i riflettori sulla mostruosità dell’essere umano come creatura nata per distruggere se stessa e portarsi con sé nell’aldilà quanto più possibile: niente a che vedere con una romantica idea di immortalità ma più un esasperato, egoistico attaccamento a una vita che ha senso e compiutezza solo nella sua fine. Il ruolo del bianconiglio lo veste un certo John Constantine (il personaggio che maggiormente si avvicina alla personalità di Moore), mago dalle dubbie scelte morali, che risveglia l’essenza di Swamp Thing e lo inizia ai suoi poteri di guardiano del multiverso.

Watchmen (1986) è l’opera più acclamata e, con ogni probabilità, la più importante di Alan Moore, vincitrice di un Premio Hugo e inserito dal “Time Magazine” nell’elenco dei “100 migliori romanzi in lingua inglese dal 1923 ad oggi”. Di nuovo una distopia, un altro universo sull’orlo del collasso; sullo sfondo della Guerra Fredda e di un’America in cui Nixon è ancora presidente, i supereroi sono “un cinico scherzo, una parodia di una persona normale che si traveste. Nel mondo reale il loro passato li rende tristi, assurdi”. La graphic novel disegnata da Dave Gibbons assume i toni di un trattato sul potere. Tutti i Watchmen ne rappresentano una sfumatura: Doc Manhattan la creazione e l’assoluto, Ozymandias l’intelligenza e il colore dei soldi, Rorschach la giustizia sommaria. Avere dei supereroi nella realtà, per Moore, divertirebbe e preoccuperebbe perché il loro atteggiamento scatenerebbe “una serie di invidie, danni collaterali e paranoie nelle persone che loro stessi dichiarano di proteggere”.

Su From Hell (1991), disegnato da Eddie Campbell, non c’è molto da dire, se non che lo stesso Moore afferma che è solo una sua personalissima visione di come sono andati i fatti riguardanti il mistero di Jack lo Squartatore, che nel 1888 terrorizzò il quartiere londinese di Whitechapel. L’opera è pregevole per la coerenza e la giustificazione data al movente e alle modalità degli omicidi, incastrati in un panorama di grigie forze massoniche che guidano la politica e il governo inglese di Sua Maestà.

Siamo arrivati agli anni ’90, Alan Moore si autoproclama mago e, dopo una fugace e controversa collaborazione con la Image Comics (il cui rappresentante di spicco è Todd McFarlane), comincia a lavorare per il teatro presentando nel 1994 al Bridewell Theatre di Londra The Moon and Serpent Grand Egyptian Theatre of Marvels, proseguendo la sua esperienza di vera e propria “evocazione” sul palcoscenico l’anno seguente con Sacco Amniotico – Uno sciamanesimo dell’infanzia (The Birth Caul), nel 1997 con The Highbury Working, nel 1999 con Snakes and Ladders e nel 2001 con Angel Passage. Nel frattempo, nel 1996, trova l’ispirazione per scrivere un romanzo sulla sua Northampton: La voce del fuoco.

Fra le più recenti e personali scommesse di Moore nel mondo del fumetto c’è la nascita della ABC, l’America’s Best Comics, fondata nel 1999, per cui uscì nello stesso anno La Lega degli Straordinari Gentlemen; ispirata dalla World Newton family di Philip José Farmer e disegnata da Kevin O’Neill, l’opera rilegge alcune grandi opere letterarie dell’epoca vittoriana riportando all’attività personaggi come il dott. Henry Jekyll, Mina Murray, Allan Quatermain, l’Uomo Invisibile, il Capitano Nemo e Mycroft Holmes.

Va sottolineato che Moore ha avuto rapporti difficili e controversi con quasi tutte le case editrici con cui ha lavorato, a causa della sua ferrea disciplina (a)morale; in ogni caso vicende troppo lunghe e troppo intricate per essere trattate in questa sede.

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In estrema sintesi, l’intento narrativo di Moore è semplice: accompagnare il lettore in una crescita interiore attraverso la maturazione dei personaggi, più che figli, vere e proprie emanazioni dell’autore; forse anche per dare la dignità dovuta a una forma di letteratura popolare, Moore costringe le sue creature a una trasformazione da strumenti al servizio di una semplice storia a creature consapevoli della realtà che le circonda, costringendole a essere partecipi di un mondo ossessionato da una miriade di problemi. Tutto ciò avviene anche perché catalizzato dalle profonde mutazioni dello scenario, curato nei minimi dettagli e vivido quasi come un protagonista.

Il fascino immediato delle sue opere forse nasce da una semplice ma efficace ricetta letteraria: donare carisma a personaggi triti e ritriti attraverso immagini potenti, diverse e inesplorate.

“Ho parlato di Flash come di qualcuno che si muove così velocemente che la sua vita è un’infinita galleria di statue immobili. Queste non sono profonde osservazioni poetiche, in nessun senso, ma forse offrono un modo fresco e nuovo di vedere questi personaggi che negli anni sono diventati fin troppo familiari e la familiarità porta a una standardizzazione. Se sei abituato a questi meravigliosi ragazzi, questi grandiosi personaggi, lo stupore viene azzittito o soffocato, quindi il mio è stato un tentativo di restituirgli una parte della scintilla che mi impressionò quando li incontrai per la prima volta.” (*)

Al di là questo, nell’opera mooriana non è difficile riscontrare tutta una rete di tecniche semantiche e semiotiche, di variazioni di registro e commistioni di stili, degna di un grande scrittore e, in definitiva, di un grande artista.

Note:

(*) Intervista ad Alan Moore realizzata nell’aprile 2004 da Alan David Doane, in occasione della riedizione cartonata di Voice of the Fire, per la rubrica “The Five Questions” presente sul sito addblog.com (e su newsarama.com).

Per approfondire, si può partire dalla lunghissima voce Wikipedica.

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