Fino alla fine del mondo

di X, 16/06/2006

-000-
Mi risveglio da qualche parte nel futuro… il futuro di un passato divorato dal tempo in un distratto batter di ciglia. Il pianeta è un deserto di rocce e di sabbia riarse dal globo fiammante lassù nel cielo: un demonio di plasma che incombe esalando folate di vento radioattivo, fedele riflesso della crudele impassibilità celeste.

Il letargo protratto negli eoni – lo stato di animazione sospesa in cui mi hanno mantenuto con la loro dannata tecnologia, o qualunque cosa fosse – ha fatto tabula rasa nella mia mente. Nemmeno un ricordo strutturato pare sopravvissuto alla mia vita precedente, né la consapevolezza del tempo trascorso. Solo confusi bagliori di memorie residue fluttuano nello spazio informe che mi rimesta dentro, insieme a segmenti di codice inserito dall’esterno che mi parlano in maniera stringata ma sicura, penetrante, efficace, di quello che è successo e di qual è il mio compito. La voce del codice riecheggia sulla lunghezza d’onda del canto melodioso delle pulsar: dispacci militari dal comando della Resistenza… è tutto ciò che mi serve.

> premier direx: delete powindah!

La direttiva primaria non mi lascia scampo. Mi scrollo di dosso le ultime tracce del torpore criogenico e muovo le membra meccaniche verso l’uscita della Caverna. Il movimento dischiude alla mia mente la consapevolezza delle superiori doti del mio nuovo corpo: l’acciaio canta fragorosamente dentro di me, preannunciandomi l’estasi dell’azione.

I miei passi metallici riecheggiano sul gelido marmo del pavimento, lungo corridoi rimasti in silenziosa attesa nel corso dei secoli. È tutto così asettico. La strumentazione elettronica – migliaia di chilometri di circuiti tracciati nel carbonio tubolare – persevera nella sua efficiente opera di controllo retroattivo.

La lancia mi attende insieme alle altre. Il groviglio rugginoso delle sue viscere risistemate per l’occasione fa bella mostra di sé in un fianco del mostro di lega chitinosa: tradisce un certo narcisismo compiaciuto della propria incompletezza, questa perversa disinvoltura nell’esibire i tubi gommati dell’apparato lubrificante, le condutture che incanalano il vapore, i capillari che convogliano l’azoto liquido al propulsore centrale e le superfici dissipatrici dei radiatori.

Salgo in sella ed entro in sincronia. Abbasso la leva del propulsore, e un fremito di eccitazione si espande nel mio corpo non appena sento l’alito caldo dell’uranio sprigionarsi tra le gambe dal reattore centrale del mio destriero da combattimento!

+001+
Il vento mi sfiora la faccia. È una carezza delicata che il cielo concede alla mia pelle rugosa e bruciata. Un sogno riemerge alla superficie dagli abissi di acciaio della coscienza. Penso a lei: il suo sorriso distratto, i suoi occhi ambigui, le sue gambe accoglienti. Rivedo i suoi capelli cullati dalla brezza marina della sera, la sua pelle liscia e ambrata, e sento ancora una volta il profumo che emana, mentre saggio la morbidezza delle sue carni. Agile e flessuosa come un uccello acquatico, sfuggente come la più bella e discreta delle creature oceaniche che si aggirano tra i banchi frattali di sgargianti coralli. Sapore di mele, adrenalina, sensazioni sfumate dal tempo, epidermidi sudate che si incontrano scatenando la sequenza di reazioni tipiche della chimica dell’amore.

Cielo stellato che esplode in una miriade di frammenti di argento purissimo e incandescente.
Dolore umido e rovente che mi trafigge le carni.

Come tutte le cose, il sogno va incontro alla fine.

-010-
Sono una scheggia proiettata alla velocità della luce attraverso il pianoro desolato al tramonto. Una coda di sabbia, polvere e ceneri si fonde al vapore radioattivo che la lancia esala sbuffando dagli ugelli di scappamento. Intersecando l’ideale confine tra i territori del giorno e le lande notturne, i moti convettivi dell’atmosfera perturbano le traiettorie paraboliche di granuli e particelle.

Dal cielo piove il messaggio divino, recapitato dalla trama di impulsi di una trasmissione modulata in frequenza. I circuiti di ricezione di cui mi ha provvisto l’Arconte svolgono al meglio la loro funzione: captano la forma d’onda, la processano e ne estraggono il messaggio.

> 29° 21’ 05” N 24° 58’ 19” E

Mi stringo al dorso ricurvo della lancia, adattandomi al suo profilo gentile, e spingo ancora più a fondo la barra di uranio nel reattore: con un gemito il propulsore si scuote dal suo ronzante regime, la danza sinusoidale ha un sobbalzo di piacere fremente, poi il flusso di vapore diventa più intenso e la turbina sale di giri. Sento solo il tuono del turbomotore. La mia tensione risale la ripida chiglia del mio personale diagramma di trepidazione. Ho una missione da compiere. Non c’è tempo da perdere.

+011+
Echi di guerra percorrono l’immensità di queste lande desolate.

La battaglia versa ormai in stadio avanzato, ma non sembra decidersi a volgere verso l’epilogo. Detonazioni neutroniche rifulgono in lontananza, lampi azzurri si sprigionano dai condensatori di plasma. Scariche di interferenza distorcono la mia percezione, stimolando la mia eccitazione. L’adrenalina sollecita le porzioni del mio organismo non ancora assimilate dal metallo.

I segnali della guerra sono tracce chiaramente leggibili. Nessuno dei due schieramenti, tuttavia, sembra orientato alla vittoria. Si riesce quasi a intuire una sorta di timido compiacimento per la stasi congelata della situazione: come se nessuno dei due eserciti fosse realmente animato da una volontà di affermazione. Lo scontro si protrae da talmente tanto tempo, ormai, che non mi sorprende intuire la stanchezza dei legionari, subentrata ad una lenta regressione nell’apatia.

La guerra è diventata routine, quasi fosse un gioco...

> new direx: seek & destroy

Un proiettile da 70mm mi sfiora. Un altro colpisce la lancia, esplodendo in una pioggia di frammenti contorti e arroventati. Mentre sbanda, sento il gemito del mio mostro da combattimento diffondersi rabbioso lungo le direttrici neurali del mio essere.
L'ira mi assale.
Simultaneamente, i miei sensi acuiti dalla nuova dimensione esistenziale che li possiede colgono un evento consumarsi in parallelo alla mia disfatta. Come me, un guerriero alato viene colpito da un raggio infernale piovuto dal cielo. Le sue ali bruciate tentano invano di artigliare l’aria, in uno sforzo disperato. L’angelo, dal viso dolce di donna o fanciulla, con una espressione distratta e pensosa si abbatte al suolo.

Rinvigorito e furibondo, mi scuoto dal mio torpore.

E finalmente giunge il tempo di giocare.

-100-
Mi riscopro a fissarla negli occhi, in un pomeriggio disperso nelle volute nebulose del tempo, in un luogo distante anni-luce dall’orrore senza forma che mi circonda. Vincendo le lusinghe insistenti della guerra, mi abbandono alla contemplazione del suo volto etereo, dal sorriso diafano e rasserenante. Quale luce abbagliante le arde nell’anima! E che grazia soave sembra emanare da ogni suo gesto...

Nel campo della percezione, il clamore della battaglia si traduce in una eco remota. Espressioni fuggenti di volti distrutti, schiene piegate che mai più si alzeranno e spasmi di morte vengono relegati ai margini della mia sfera sensoriale. E torno a guardarla.

I suoi occhi esprimono un’armonia geometrica senza paragoni. Baciandola, scivolo sulla curvatura neperiana delle sue iridi, oltrepasso l’orizzonte degli eventi dello sguardo e mi immergo nell’agata screziata d’ambra della sua anima. Così dolce.

Così remota...

+101+
Avanzo a passi lenti e pensosi attraverso un terreno cosparso di cadaveri e rottami. Sono i resti della battaglia, i residui del gioco. Il campo dell’epico scontro ha assunto ora la forma spettrale di un cimitero cosparso di resti carbonizzati e fumanti. Lamiere si fondono alla carne rinsecchita e bruciata, in questo scenario di morte e desolazione. Il ronzio di componenti che non combaciano è una misera ombra dell’antica gloria funzionale di congegni tirati a nuovo e in perfetta efficienza. Neanche il sangue tanto copiosamente versato basterebbe a lubrificare meccanismi ormai distrutti. Neanche i miracoli del metallo organico potranno restituire la vita e il movimento ai corpi consegnati alla morte.

Con andamento zoppicante e fiero, raggiungo il corpo dell’angelo abbattuto. Fiamme superstiti continuano a divorare il suo ventre e la pelle di collagene candida come porcellana: messi a nudo, i congegni ad orologeria del suo meccanismo interiore scattano oscenamente. Le sue membra stremate, eppure ancora indomite, provano a risollevare dalla cenere del campo la reliquia scordata del suo corpo logoro. Infine l’angelo si arrende, e giace abbattuto su un cumulo d’ossa, scrollato da un tremito cibernetico. Colto da improvviso desiderio, vincendo il ribrezzo mi piego sul suo corpo morente: il viso di angelo si scuote dalla sua impassibilità serafica e pare quasi implorarmi. Incapace di resistere, avvicino il mio volto sfigurato alla intatta compostezza delle sue gote e affondo la mia lingua in lei. Sospesa nell’umida interfaccia della bocca, la scintilla del piacere esplode in una fiammata azzurra, mentre l’ultimo respiro le muore in gola. Negli occhi vitrei, sopravvive la difficoltà nel realizzare il senso della sua sorte crudele.
Sopraffatto dalla stanchezza, faccio appello a tutte le mie forze per risollevarmi in piedi.
Mi trascino stremato verso la mia lancia in attesa del suo cavaliere. Le estroflessioni semiorganiche si ritirano dal terreno da cui hanno assorbito gli elementi indispensabili alla rigenerazione delle parti danneggiate. Finalmente è di nuovo in assetto. I circuiti di identificazione mi riconoscono, la monade di controllo centrale si sintonizza sulle frequenze delle mie emissioni coscienti.
Sfreccio attraverso il deserto.

Diretto da Lui.

-110-
Il Castello dell’Arconte è la Torre del Tempo. Solitaria e imponente, si erge nel mezzo dei territori senza legge della sera, e quello che incombe sulla sua struttura troneggiante contro le nubi è un crepuscolo senza fine.
Impavida, la lancia corre verso il monolito.
L’ascesa alla Sala delle Rimembranze è un percorso catartico verso le stelle, utile a schiarirmi le idee. La Terra non è che un ricordo remoto, quassù su Armaghast, ottenebrato dai parsec di vuoto silenzio e oscurità del Mare della Notte, immerso nell’accecante rumore bianco sprigionato senza interruzioni dal suo sole demoniaco. La felicità di un tempo sembra relegata ad una sfera ideale di irraggiungibile perfezione. Lei sembra un sogno sfuggente, dotato di una polarità ambigua che al contempo riesce ad attrarmi e a respingermi con eguale intensità.

Sento il tormento della frustrazione fiorire sotto gli strati chitinosi di lega organica che compongono la fibra del mio esoscheletro. Il cuore è una pompa a disordine elastico che pulsa fuori giri nel centro gravitazionale del mio essere, ripercuotendosi ovunque in vibrazioni di pura coscienza emotiva.
Continuo l’ascesa lungo ciclopiche gradinate di marmo.
Raggiungo infine la meta del mio viaggio. L’Arconte è un simulacro rivestito di chitina nera e opaca che mi fissa distaccato dal cuore del suo regno immenso senza periferia e senza confini. Nei suoi occhi – unica componente organica sopravvissuta all’olocausto delle sue originarie spoglie mortali – vedo rifulgere un barlume di curiosità mista ad ammirazione.

La perseveranza e la tenacia che mi hanno consentito di sopravvivere allo scontro e di raggiungere il nucleo del suo impero sono chiaramente fonte di una stima sincera nei miei confronti. Trovo assurdo pensare che l’essere che mi fronteggia, matrice o proiezione che sia, sia l’unico in grado di restituirmi quanto mi è stato sottratto.

Bentornato a casa, uomo. La Sua Voce vibra nella mia psiche con il fragore di un tuono, colmo di paterna magnanimità. Sei stato un soldato valoroso. Chiedimi dunque cos’è che vuoi, e ti sarà data la tua ricompensa.
Rifletto per qualche istante. Non è incertezza, la mia, solo timore di ricevere un potenziale diniego. Un rifiuto quale scelta potrebbe lasciarmi?
«Poter tornare indietro...» biascico sopraffatto dalla stanchezza, e il mondo delle illusioni mi si mostra piacevole, sicuro e appagante come un Paradiso Perduto. Irreversibilmente.

L’Arconte, nella sua armatura lucente e inquietante, viene scosso da un fremito intimo e profondo. Immagino che sia il suo modo di esprimere una risata. Poi, negli occhi neri di liquido metallo, vedo baluginare lo splendore di un supremo compiacimento.

+111+
La capsula di incubazione è una bara concepita da una mente contorta e sadica. Un intrico di tubature e cavi fornisce l’alimentazione a questa scultura dall’immane potere suggestivo, in un repellente capovolgimento concettuale dell’organica relazione tra l’interno e l’esterno. Sotto la fibra isolante, posso avvertirlo, scorrono flussi incandescenti di energia purissima, veicolata dalle guide d’onda, convogliata nel nucleo di controllo del dispositivo per evocare dal suo placido letargo lo Spirito Supremo del Tempo.
Prigioniero impotente della mia ultima speranza, mi sembra di osservare il mondo da un acquario.

Mentre guardo l’Arconte armeggiare con le sue sofisticatissime apparecchiature – strumentazioni avvolte da un’aura aliena di inesplicabilità – mi accorgo che qualcosa di strano sta accadendo: inesorabilmente ma progressivamente, i limiti della mia percezione del mondo stanno cambiando. Lo sconvolgimento da alterazione sensoriale è sintomatico di una imminente perdita di coscienza.

Poi, un’ondata di gelo mi assale, propagandosi incontenibile lungo gli assi neurali della mia consapevolezza. L’incantesimo quantistico su cui si fonda l’apertura della cronosoglia spalanca le porte alla dissociazione… sento di esplodere fuori dalle mie ibride membra, in preda ad una sublime espansione verso i confini stessi dell’Universo. Nuove viscerali connessioni si instaurano tra il mio essere senziente e la ricettività paziente del cosmo.

>final direx: endofdream

Lascio che i flussi ininterrotti di sogni dimenticati si riversino in me dal passato. Ignaro di quel che accadrà, sento le spire del tempo avvolgersi delicatamente attorno alle terminazioni estreme del mio essere, e aprirsi la strada verso il cuore cristallizzato della mia coscienza. E ancora una volta, scivolo nel torpore pervaso di spettri e fantasmi del sonno criogenico.

In attesa di un nuovo, temuto Risveglio.

Racconto originariamente apparso sul sito Othersider.com, e poi nell’antologia Noir no War curata da Marco Milani e Alda Teodorani per Giulio Perrone Editore. Nel 2004, questo racconto si è classificato sesto alla X edizione del Premio Alien.

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