Dhalgren: il mondo fuori dai cardini

di 2x0, 30/11/2006

La città si raggiunge attraversando un ponte su un fiume. Città autunnale, è la prima definizione di Bellona, o almeno così si è portati a intendere proseguendo nella lettura, dal momento che questa prima frase del libro, mutila dell'inizio, non lo specifica. E autunnale è in effetti, come una foresta che si spoglia lentamente, avviandosi verso il coma invernale, forse senza ritorno: per via dei servizi a singhiozzo, dai trasporti all'elettricità, l'illuminazione, gli alimentari. Tutto viene meno senza esaurirsi mai: un'agonia infinita, senza speranza di morte né tanto meno di guarigione.

Vengono notate spesso le deficienze nell'illuminazione delle strade e degli spazi comuni dei palazzi, come i corridoi: ovunque vi sia una serie di lampade, solo una ogni tante funziona. I danni rilevati sono in parte ascrivibili alla catastrofe taciuta, come la pavimentazione sconnessa, le pareti bruciate, il fondo stradale cosparso di cenere; parte dovuti a vandalismo, come i caselli autostradali devastati all'interno.

Pochissimi sospettano l'esistenza di questa città. è come se non solo i media, ma le stesse leggi della prospettiva avessero ridisegnato la conoscenza e la percezione per eluderla. Si dice che qui non esista praticamente potere.

Si tratta dunque di una città sfuggente: una bolla creata in laboratorio, in cui l'autore sorveglia l'evoluzione di colture umane in assenza di vincoli, costrizioni, normative.

«... qui sei libero. Niente leggi: né da infrangere né da rispettare. Fai quello che ti pare. Il che ti provoca strane conseguenze. Molto presto, sorprendentemente presto, diventi...» si avvicinarono a un altro lampione mezzo acceso; ciò che si muoveva divenne fumo, che oscillava come un fuoco fatuo estinto dalla soglia di una finestra con i denti di vetro «... esattamente quello che sei.» E Tak tornò di nuovo visibile. «Se sei pronto per questo, hai trovato il posto giusto.»

Dhalgren è un romanzo che ha ben poco di fantascientifico: non esibisce meraviglie tecnologiche, l'epopea spaziale vi entra solo di riflesso e in forma depotenziata attraverso il personaggio di Kamp, astronauta reduce da una missione Apollo. Gli ologrammi in cui si nascondono i cosiddetti scorpioni, uomini e donne che corrono la città in bande, ora predoni, ora garanti di un ordine non percepibile, certo non ufficiale, sono tra le poche concessioni al genere, insieme all'abito cangiante di Lanya. Gli episodi di promiscuità sessuale e le esplosioni di violenza costituiscono buona parte della narrazione: ma più come scoria dell'esperimento, una conseguenza secondaria. Una volta creata e isolata dal mondo la bolla, lasciate le creature in essa rinchiuse in balia della loro libertà, il gioco si appunta sulle due costanti residue: la consistenza delle forme e il tempo.

La prima è apertamente contraddetta all'inizio della narrazione; viene messa in scena una metamorfosi, prima ancora che il protagonista giunga a Bellona. Durante il suo colloquio con Madame Brown, quasi al termine del libro, riprenderà l'episodio, indeciso se considerarlo un sogno o fronteggiare il rischio della follia.

«Mi stia a sentire... io sono molto suggestionabile. Labile... come si dice. Faccio molto presto a incorporare le cose nel mio... modello di realtà. Forse troppo presto. È questo che fa di me un matto.»

Questa trasformazione, posta in apertura e in chiusura, stringe il testo in un confine ferreo: annuncia una terra di nessuno, dove si è esposti all'invasione e disposti al trapasso; al di là, le cortine di fumo che coprono il cielo e velano le distanze sono un'implicita minaccia, raffigurano la resa del visibile all'indistinto. Il tempo pubblico è abolito: né data né ora possono essere stabilite con certezza, l'atmosfera oscilla fra il chiarore diurno, come un lungo albeggiare che non si tramuta mai in giorno pieno, e un'oscurità rischiarata da sporadici incendi e dal riverbero della residua illuminazione cittadina nella foschia. I personaggi si perdono e si ritrovano per improvvise discontinuità del loro tempo privato: come se il tempo fosse una funzione biologica, con differenze individuali di verso e di ritmo.

L'autore esplora con un certo distacco i comportamenti conseguenti a questo gioco, e sembra concludere, con la precipitosa ritirata finale del protagonista e dei suoi compagni, che i cardini del mondo sono inconsistenti, ma anche in certo modo necessari. Possono essere sospesi entro limiti definiti, a determinate condizioni, con rischi non calcolabili; la loro tirannia non può essere semplicemente abolita, fidando in una carità intrinseca di ciò che è al fondo.

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