>Racconti
Il miraggio esploso

::::MAGAZINE::::

  • PAGINE:
  • [1]

Un racconto inedito di Fernando Fazzari, composto con l'intento di omaggiare la memoria di quel grande testimone e cronista della provincia profonda e abbandonata che è stato Breece D'J Pancake. Se Pancake avesse scritto fantascienza, forse il suo lavoro sarebbe somigliato a questo. O forse no. Lo spirito che vibra sotto la pagina, quel flusso di elettroni che dallo schermo si traduce in segnali chimici nel nostro sistema nervoso, e quindi in grumi di emozioni, risente sicuramente della medesima ispirazione. Bisogna esserci stati, per avere una misura di certi luoghi. Talvolta, però, non basta nemmeno esserci cresciuti per capirli.
- X

Sento che la mia paura si allontana
in cerchi concentrici attraverso il tempo,
per un milione di anni.

Trilobiti – Breece D’J Pancake

Colline a picco sul mare, arse, spaccate; tra loro e l’acqua un cesto di funghi di cemento e asfalto: case, prefabbricati e strade sottili come una gramigna grigia, fuori dai sogni della natura.
Scruto l’orizzonte, sfioro con l’occhio le nuvole dense e finisco con la testa all’indietro, 180 gradi di visuale che anni fa mi avevano suggerito una domanda: cosa prevarrà, alla fine? (Allora pensavo alla fine della mia storia, non alla fine di tutto.) Colline di cemento, forse, o il Mediterraneo che si riprenderà ciò che da sempre è stato suo.
Volto le spalle alle onde. Riesco a scorgere più in là pezzi di binario fra le sterpaglie: un treno ci passa sopra senza spostare una foglia,
MIO TRENO DI NOTTE
scomparendo al limite del mio campo visivo
LENTO NELLA PIANURA
in una nebulosa di pixel.
BATTIPAGLIA... SALERNO…
Delle parole scivolano giù per la collina,
MIO PAESANO, STANCO SULLA VALIGIA,
inesorabili:
CANE VAGABONDO.
Escludo il paesaggio ibridato. Avvio una ricerca: quelle parole sono di Franco Costabile, un poeta scomparso; interrompo l’operazione, non mi serve andare avanti con notizie sulla biografia, mi bastano le parole.
Esco dalla Rete.

La Realtà è che alla fine a prevalere non è stata né l’acqua, né la terra, né il cemento, ma solo la guerra, capace di spezzare gli ingranaggi del tempo. Bassitalia.
La Connessione qui è un miraggio esploso come una bomba nel deserto. Niente fibra, niente etere, niente mischiato con niente.
Ma io ho tutto ben piantato in testa, in ogni senso.

Ho il tuo sorriso in tasca, Lucia. Un fossile a due dimensioni, testimonianza sbiadita di un abbraccio rubato al tempo; l’unica fotografia che mi è rimasta. Avrei potuto effettuare una scansione e “mandarla a mente” in ogni suo dettaglio, ma non l’ho fatto. Mai concedere troppo spazio al Neuro-Synth, l’amico invisibile, il verme solitario nel cervello, un cristallo di particelle quantiche avide dell’humus dei ricordi. L’ho strappata in due, invece: di me resta solo una mano sulla tua spalla esile; di te il sorriso, una nota dolce ma fuori scala sul pentagramma dei lineamenti, cornice asimmetrica agli occhi grandi, grigi, di donna che ha imparato a piangere da adulta. E tutti quei chilometri percorsi nei nostri sogni di fuga – uno dopo l’altro, per stordire l’anima – che si stringono in pochi centimetri di rughe, sfumano nella pelle stanca agli angoli degli occhi: finestre appannate sul mondo.
Ho in tasca il tuo sorriso, Lucia.
Quel che rimane dei tuoi venticinque anni, su un’istantanea.

Nascondo la fotografia. Volto le spalle al mare. La Statale 18 è una cicatrice d’asfalto sul volto di Bassitalia. Il paese non è lontano: mezz’ora di cammino per tentare, ancora una volta, di schiacciare i ricordi sotto i piedi.
Per strada incontro poche persone. Non ci sono bambini, solo vecchi. Il Neuro-Synth mitraglia nomi, età, peso, malattie e altri brandelli d’esistenza per ogni faccia spenta, segnata da un’apocalisse silenziosa, esplosa nelle mie retine con pattern rossi e verdi. Non riconosco nessuno.
Case scheggiate come denti rotti, in alcune si intravede polpa secca di vita: divani, mobili, televisori. Il mare non è lontano, alle mie orecchie giungono sirene sintetiche: Oggi la nave torpediniera Spica, da Marina di Nicotera, ha trasmesso alle ore 17,25 un telegramma in cui si dice che buona parte della città di Messina è distrutta. Vi sono molti morti e parecchie centinaia di case crollate. È spaventevole dover provvedere allo sgombero delle macerie, poiché i mezzi locali sono insufficienti. Urgono soccorsi, vettovagliamenti, assistenza ai feriti. Ogni aiuto è inadeguato alla gravità del disastro. Il comandante Passino è morto sotto le macerie.
Messina, 28 dicembre 1908. Il Neuro-Synth fa parlare il tenente di vascello Belleni, lo sovrappone all’immagine in bianco e nero di una cartolina dell’epoca: Rovine della chiesa di San Nicola, inchiodato alla sua croce, un Cristo giace tra le macerie.
E ancora: 23 novembre 1980, terremoto dell’Irpinia. Epicentro: Conza della Campania. Richter 6,9. Mercalli 11. Morti, 2.735, 2.914 secondo altre fonti. Perché? Avere un cristallo di Synth e la sua Connessione permanente nella materia grigia non è sempre un vantaggio. Spesso mi risparmierei tutto questo, ma la tarma nel cranio ha una volontà sua come il Vecchio Marinaio [INTERFERENZA DI SISTEMA. RICERCA FONTE: William Seward Burroughs, Il Pasto Nudo]. Associa, mette in relazione senza interrompersi flussi di informazioni, mischia i sedimenti della mia memoria a litri e litri di liquidi byte.
Il sisma qui non c’è stato, non in tempi recenti almeno, solo la catastrofe (non naturale) chiamata guerra.
Perché non sei venuta via con me, Lucia? Quando scappai via le rocce del Pollino vomitavano onde di truppe nemiche e ti eri appena unita alla Resistenza.
In tasca ho il tuo sorriso: un sogno di fuga strappato a metà.
Sono venuto a cercarti.
Davanti a me c’è il bar.
Tu ci abitavi sopra, in un vecchio appartamento, assieme ai tuoi genitori, tre camere con terrazza, mentre noialtri abitavamo giù, un’unica e sola famiglia: il bancone.
Sto per varcare la soglia. La paura sgocciola come in un bicchiere vuoto. Il Neuro-Synth attiva un rilascio immediato di endorfina. Non basta. Sono arrivato. Vada come vada, in una maniera o nell’altra, ti troverò.

Oh Cristo, Lucia! Il tuo sorriso si vela del sudore della mia mano. La speranza è una nuvola color ambra nel bar della nostra gioventù, il sole pomeridiano una lama che ne attraversa le polveri che si alzano appena apro la porta.
Dentro non c’è un’anima, solo un rudere di uomo, una montagna inerte di pelle spessa, solcata da fiumi secchi di disperazione. Il cristallo fa il suo lavoro, tracciando il profilo di tuo padre: dice che ha quarantanove anni, ne dimostra trenta di più.
Non ci sono parole. La sua e la mia bocca sono deserti aridi.
Nel mio cervello scoppia un caos di dati che centrifugano tutti attorno a un fotogramma: un tronco di cadavere – quasi strappato – sull’orlo di un cratere lasciato da una bomba. Hanno preso di mira questi posti a guerra ormai vinta, scatenando un inferno chimico differenziato, sperimentando almeno tre sostanze diverse, tre nuovi e atroci modi di morire.
Le immagini continuano a turbinarmi in testa anche dopo che ho voltato le spalle al giovane vecchio.

Di nuovo di fronte alle onde torbide del mare. Spengo la Rete. Resto fuori dal mondo. A guardare questo paesaggio morto ancora un po’. Almeno finché tornerà la notte.

Picture by Giorgio Raffaelli

  • PAGINE:
  • [1]

AGGIUNGI UN COMMENTO

Per inserire un commento indica 1) un nome o pseudonimo; 2) inserisci il tuo commento; 3) inserisci la parola che coincide con quella mostrata dall'immagine. Commenti più lunghi di duemila caratteri non saranno accettati.

Nome:

E-mail:

URL:

Commento:

Inserisci la parola: