>Racconti
Di altri uomini e di altre donne
di X

La disgregazione procede a passo spedito, ma la distruzione morale che si sta diffondendo per le strade della Città non è che una delle tante manifestazioni dell'unica Signora suprema e incontrastata delle nostre anime: la Morte. Essa e l'Amore rivestono in questa danza onirica i ruoli complementari del bene e del male. La linea di confine tra le due condizioni è molto labile anche alla percezione dell'occhio più esperto.

I primi tempi, ancora inesperto e disorientato dal mio nuovo stato esistenziale, vagavo per le strade senza la benché minima idea di un metodo, in cerca solo di giovani prede per appagare la mia sete e sedare momentaneamente la dipendenza. Passavo i miei giorni nell'ignavia più completa, inerte, in attesa della sera per intraprendere l'arduo processo di reversione che mi avrebbe permesso di strappare le mie macerie fisiche e spirituali dalla morsa deteriorante dell'entropia. Smisi di mangiare, il sonno divenne un dormiveglia delirante affollato di visioni da incubo. Funzioni fisiologiche quasi azzerate. Vivevo in attesa del mio momento di soddisfazione: la dose quotidiana di emozioni ed emoglobina.

A volte mi capitava una fanciulla, altre una bambina, ma non di rado mi imbattevo in donne ormai mature: i loro corpi recavano già i primi segni dell’imminente disfacimento, ma io avevo bisogno di colmare un vuoto. Il contagio era in cerca di manovalanza, per cui non si lasciò intenerire dalla debolezza fisica. La transizione dall'originale caducità umana all'eternità della dannazione produce i suoi effetti positivi anche sui corpi, oltre che sulle menti. Condensata in un presente immortale, la nostra vita è immobilizzata nell'attimo, paralizzata nell'intersezione paradossale e incomprensibile dell'eternità con il tempo. L'adempimento alla causa comporta l'immunità al deterioramento.

Con il tempo, imparai a discernere le diverse sfumature nella policroma varietà della dipendenza che era assurta a mia missione. Cominciai ad apprendere i principi che si celavano alle sue basi, a comprendere l'unicità e la singolarità della nostra esistenza. L'uomo non è un essere malvagio perché propende al male, l'uomo fa del male perché è un essere intrinsecamente malvagio. Questa verità mi schiuse gli occhi: io ero una reazione all'antico modo d'essere, al mio vecchio me stesso, il mio fine era arginare il dilagare della follia innescata da secoli di oscurantismo e coercizione. L'uomo nuovo doveva trovare la sua nuova via al di là del bene e del male: la mia missione sarebbe ora divenuta esplorare quei territori sconfinati e così poco conosciuti. Maturata questa consapevolezza, compresi anche la necessità di impormi una disciplina. Imparai così l'astinenza, e trovai il mio posto nella società. Integrazione, la si sarebbe potuta definire: forte della mia accresciuta coscienza, il ritorno non presentò particolari ostacoli.

L'illuminazione mi aveva toccato, ma non ritenevo opportuno metterne a parte il resto del mondo. Avrei vissuto per me e per me soltanto, cercando di elevarmi al di sopra della rigida distinzione tra l'uomo e la nuova specie che si andava profilando all'orizzonte, mantenendo sotto scrupoloso controllo le pulsioni più primitive.

Certo, di tanto in tanto scampoli della mia natura emergevano dall'abisso orrido e informe in cui m'ero industriato a seppellirli – la mancanza di Jade, l’assenza del suo profumo inebriante, il bisogno di averla diventavano insopportabili – e allora uscivo di notte in cerca di lei, di tracce della sua presenza. L'inutilità dei miei sforzi giungeva a compimento nella frustrazione, e la frustrazione non di rado scatenava autentici momenti di follia. L'ultima volta ho dissanguato dodici ragazze in una sola notte, ma il brivido che ne ho ricavato non è stato nemmeno lontanamente confrontabile all'asprezza drammatica e all'intensità celestiale che avevano segnato il momento puramente estatico della Conversione. È stato dinanzi all'ultimo corpo – ormai in lento raffreddamento dopo che, insaziabile e famelico, l'avevo riconsegnato per sempre all’inesorabilità dei processi entropici – che ho preso la mia decisione, e questa volta temo si tratti di una scelta definitiva. La prima e l'ultima della mia vita, ispirata da un volto di porcellana composto in una illusione di beatitudine.

Lascerò che il cosmo ostile rivendichi il suo antico dominio sulle mie funzioni, mi abbandonerò al suo abbraccio disgregatore, scivolerò lentamente nel caos dell’universo. Vivere la morte dell'Io, sarà il mio antidoto alla disperazione.