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Berenice Cyberpunk

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Il mash-up è una tecnica impiegata soprattutto in ambito musicale e video (un Frankenstein sonoro e di frame derivato da brandelli di diversa provenienza) o informatico (un sito o un’applicazione web ibridati, tanto da inglobare contenuti di diversa origine) che ha come scopo quello di giungere a un nuovo prodotto riducendo in “poltiglia” le fonti d’origine. Un’operazione d’ibridazione e riciclo usata anche in letteratura e giunta alla ribalta grazie a scrittori come Seth Grahame-Smith, autore di Orgoglio e pregiudizio e zombie (Nord, 2009), in cui la vittima del non-morto è la carne testuale del classico di Jane Austen, letteralmente fatto a pezzi sul piano della trama e dei personaggi, costretti non solo a combattere i loro istinti amorosi ma a lottare contro le orde dei morti che camminano nelle campagne inglesi. L’esperimento di Grahame-Smith ha riscosso un grande successo editoriale, inserendosi in un vero e proprio filone (Abraham Lincoln Vampire Hunter, sempre dello stesso autore, Shakespeare Undead di Lori Handeland e diversi altri, per la maggior parte pubblicati dalla casa editrice statunitense Quirk Books). Il risultato del mash-up è divertente e trasgressivo, senza ombra di dubbio. Quello che mi sono chiesto è se è una tecnica narrativa che ha utilità e futuro. Si è fatto così un tentativo con il raccontoBerenice di Edgar Allan Poe, spostandolo dal gotico alla fantascienza cyberpunk. Quello che segue è il risultato dell’esperimento letterario fatto sulla classica traduzione di Maria Gallone, corredato da una sorta di “diario della riscrittura”, stilato nel corso della lavorazione, di cui questa nota introduttiva è l’inizio…

La miseria è molteplice. L'infelicità della Rete-Mondo è multiforme.
Ne abbraccio l’orizzonte come un arcobaleno le cui sfumature sono varie come i colori di quell’arco, e altrettanto distinte, e al tempo stesso intimamente fuse: un’immagine di pace da cui riesco solo a splittare un frame di sofferenza.
Il ricordo della felicità di ieri è – oggi, domani e sempre – il nostro trip quotidiano: Silver-K, la chiamano, la chiave d’argento che dispiega un mondo onirico in cui l’uomo crede ancora di essere libero. Una molecola psicotropa.
Berenice, che tu sia maledetta.
Berenice, la mia ossessione di sintesi.
Il mio nome è E-Geo; non rivelerò quello della mia famiglia, sarebbe inutile: vi basti sapere che è uno dei pochi, anonimi cognomi col numero seriale che distinguono i quattro spettri in carne e ossa che sono rimasti sul pianeta. La gran parte della popolazione s’è fatta risucchiare il cervello – o l’anima, se preferite – in qualche IA che pulsa in un bunker seppellito nel silenzio, alimentata ad aeternum da batterie nucleari.
Il Grande Panico.
Neanche tanto lontano nel nostro recente passato – o almeno così si legge nelle smagliature dei firewall della Rete-Mondo – una violenta ondata di paranoia collettiva ha spinto le persone a cercare l’immortalità in scatolette contenenti intelligenze artificiali a basso costo.
Non esiste in tutto il globo surriscaldato del quale ci ostiniamo ad abitare la superficie, buco più mefitico della mia tetra e grigia stamberga. Tutto quello che m’hanno lasciato i vecchi. Tutto quello che, quando tirerò le cuoia, getterò nel fluire corrosivo del tempo. La finestra che ho di fronte non fa altro che confermare queste mie due convinzioni: oltre, vedo Frisco ridotta ai minimi termini, il Bay Bridge schiantato in montagne di ruggine, le strade deserte percorse solo da folate di vento pesante e polvere di metallo e – spostando la messa fuoco – riflesso sui suoi vetri crepati, me stesso, arginato in questa infoteca, i cavi della macchina per la dialisi totale, la Total-D, che mi entrano nelle budella e quelli d’interfaccia che escono dal cranio.
I ricordi dei miei primi anni sono legati a questa stanza e ai suoi supporti di archiviazione, di ogni argomento, capacità e hardware. Qui morì mia madre. Qui io nacqui. È superfluo dire che io non ero mai vissuto prima, che l’anima non ha un’esistenza precedente. Potete negarlo? Discuterne è inutile. Io ne sono convinto, e non cercherò di farvene persuasi. Ma c’è un bug: una reminiscenza di forme aeree, di occhi spirituali carichi di significato, di suoni musicali e pur tristi, una reminiscenza che non può essere negata; è una memoria simile a un’ombra vaga, oscillante, indefinita, incerta; e simile a un’ombra pure è la mia impossibilità a liberarmene finché la luce solare della mia ragione esisterà.
I miei occhi sondano i confini del mio campo visivo e ripeto, ossessivo come una key-word errata davanti a un cluster della Rete-Mondo, il mio mantra: qui.
Qui.
Qui e solo qui, io nacqui, risvegliandomi così dalla lunga notte di quel che sembrava, ma non era, il non essere, per trovarmi subito nelle regioni stesse della fiaba, in un palazzo dell’immaginazione, negli sconfinati domini dell’erudizione e della disciplina anarchica degli stalker della Rete-Mondo. Non è strano che io mi guardassi attorno con occhio ardente, meravigliato, che trascorressi la mia infanzia in mezzo agli hardware dell’infoteca, che disperdessi la mia giovinezza in fantasticherie; ma è strano, mentre gli anni passavano e a trent’anni mi trovavo ancora nella casa di famiglia, è stupefacente il ristagno che rapprese le fonti della mia esistenza, è inspiegabile l’inversione totale che si operò nel corso dei miei anche più semplici pensieri. Le realtà della Rete-Mondo mi colpivano come visioni, e come visioni soltanto, mentre le svagate idee del Paese dei Sogni divenivano a loro volta, non l’elemento materiale della mia vita quotidiana, ma veramente e propriamente la mia sola unica vera vita.
In quegli anni anticipavo solo una tendenza, senza per questo digitalizzarmi in un’IA; ero già malato: per me, quel disagio nero che con il nome di Grande Panico si prese il mondo, non fu altro che una malattia congenita.
La mia malattia, nient’altro che la mia malattia.
Ma non ero rimasto solo insieme al vecchio Pa’, no. Con noi c’era Berenice, la cugina lasciata sola dagli zii Bern e Grace, ora rispettivamente B3rn-348 e Gr4c3-109, tra le più vecchie IA di matrice umana che siano mai state registrate nei database della Rete-Mondo.
Crescemmo insieme entro le mura paterne. Tanto vicini nelle catene di Dna quanto lontano nello sviluppo della comune matrice genetica: io malaticcio, sempre immerso in tetraggini, lei agile, graziosa, traboccante d’energia; sue erano le incursioni al market all’incrocio tra Main e Bryant per rubare le caramelle che divideva con le sue amiche di giochi all’angolo, miei gli studi della Rete-Mondo; vivevo richiuso nella cerchia della mia corteccia allargata, dedicandomi anima e corpo alla meditazione più intensa e più dolorosa, lei si aggirava spensierata attraverso l’esistenza senza il più lieve timore di ombre che potessero frapporsi sul suo cammino.
Berenice! Il suo nome risorge dalle grigie rovine della memoria e smanio come un tossico giù nel Tenderloin al solo pensiero di poter riavere la sua immagine dinanzi a me, viva ancora, come lo era nei primi anni della sua spensieratezza e della sua gioia…
Ci rivedremo, Ber, prestissimo e via SK.
Silver-Key: la molecola cui è appesa la sanità mentale dei pochi uomini in carne e ossa rimasti sul suolo terrestre. Uno sparuto gruppo di fantasmi devoti ai ricordi pre-Panico. Un mondo come quello attuale non è sopportabile, nemmeno immobili su una sedia, sfamati ventiquattro ore su ventiquattro da una macchina Total-D, che provvede a ripulire il corpo e a nutrirlo di proteine e carboidrati sintetizzati da molecole endogene. Meglio i ricordi di una superficie terrestre ancora calpestata da miliardi di uomini. Meglio vivere attraverso la chimica della Silver-Key. Anche se a volte fa brutti scherzi. La mia burla omicida si chiama Berenice.
Piccola Berenice, sfarzosa e fantastica bellezza.
Il tuo ricordo, cuginetta, è un dente che fa male.
È dolore, e per scacciarlo, al dolore aggiungo dolore.
Invio al Total-D i comandi per un paio di stringhe di Silver-Key. La finestra di fronte poco a poco sfuma. Il Bay Bridge si alza dalla polvere. Il mondo risorge dalla tomba. Le strade si animano di vita.
Sono da te, Ber.
Ai giorni in cui tutto divenne mistero e terrore, quando un male, un male fatale, si prese il tuo corpo e, ancor mentre ti contemplavo, lo spirito della dissoluzione ti prese, permeando la tua mente, le tue abitudini, il tuo carattere, e in modo così sottile e spaventoso da alterare persino la tua identità.

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