Leggendo l'ora dei grandi vermi di Dick dopo una più o meno lunga pausa in cui mi sono dedicato ad altri autori mi sono reso conto di questo fatto... Ci sono pochi scrittori che davvero rivivono in noi, c'è una differenza sostanziale, insuperabile tra scrittori che si incontrano e scrittori che si vivono.
Nella lettura dei romanzi/racconti di Philip e nella poesia di Jules Laforgue mi sono trovato davvero a condividere il tessuto celebrale, a permettere all'autore di entrarmi dentro, di modificarmi di insinuarsi nella mia personalità e in qualche modo continuare a vivere attraverso me.
Ho amato alla follia letture come Cuore Di Tenebra di Conrad, Testi filosofici, antropologici, La lettura di Carmelo bene, di Leary e di tanti altri... ma tutti questi personaggi (tranne Bene che lentamente sta entrando nella rosa degli eletti) l'ho solamente incontrati sul cammino, uno scambio di opinioni, un saluto. Non sono entrati dentro di me, non si sono fusi con la mia programmazione celebrale.
La lettura di Dick e di Jules è come un rituale religioso, sono testi vivi, respirano. In qualsiasi traduzione anche nella più imperfetta. Sono come i testi sacri, ti ritrovi a sorridere a provare un piacere/epifania nel riconoscimento del tuo amico in un passaggio che ti sconvolge nella semplicità e nello splendore.
E' quasi una droga, quasi una macchina empatica di "ma gli androidi sognano pecore elettriche" è la fusione tra le menti quella che si crea.
Capita anche a voi una cosa del genere? c'è qualche autore che vi sentite di rappresentare quasi nel corredo genetico?