da X » martedì 25 novembre 2008, 22:56
Temo che alla base di tutte le considerazioni emerse da questo spunto ci sia un equivoco di fondo, che inevitabilmente finisce per influenzare (questo sì) le conclusioni che sono state finora esposte.
La scienza non deve essere infallibile, perché la scienza non è un complesso di verità, ma un percorso di conoscenza. La scienza è un approccio e questo approccio è compiutamente incarnato nel metodo scientifico.
A questo punto, una precisazione. Il principio di Heinsenberg da cui tutta la discussione si è evoluta, ovvero che la misura condiziona inevitabilmente il suo risultato, è valido sulla scala microscopica dei quanti, ma perde validità con il passaggio ai sistemi macroscopici. Questo perché i sistemi macroscopici presentano proprietà emergenti che possono essere descritti ricorrendo alle variabili giuste, laddove nel caso della meccanica quantistica occorreva affidarsi a termini probabilistici. Sicuramente questa apparente inconciliabilità tra le due scale, l'infinitamente piccolo e l'infinitamente grande, è un'evidenza dei limiti che tuttora affliggono la nostra comprensione del mondo. Ma è altrettanto vero che la scienza non ha smesso un attimo, nella sua storia, di mettere in discussione le certezze acquisite. Ed è stato questo suo spirito ad averla tenuta in vita e ad avere permesso all'umanità di ritrovarsi oggi in un non-luogo che non esiste fisicamente da nessuna parte, se non in un insieme di elettroni fermi su dei condensatori o in corsa dentro dei fili di rame, distribuiti in giro per il mondo. Elettroni che trasportano le mie parole, le vostre, e le traducono in immagini davanti ai nostri occhi. Noi siamo abituati ormai a scambiare una cosa per l'uso che ne facciamo, ma mentre dell'uso l'unico responsabile è e resta l'utente finale, della cosa il merito va tutto al concetto che l'ha resa possibile e al lavoro che le ha permesso di funzionare. E il funzionamento di qualcosa rappresenta la traduzione della scienza in tecnologia. L'esito del progresso collegato alla tecnologia, e attraverso di essa alla scienza, è tale per cui non serve dilungarsi ulteriormente. A me piace credere che come la tecnologia è la traduzione in tecnica di un'arte, così la scienza è - paradossalmente - assimilabile proprio all'arte da cui sembrerebbe tanto distante. La scienza è l'arte del dubbio e non c'è bisogno di cercare altrove per trovare una procedura più valida per testare il funzionamento di un'idea, la consistenza di un'ipotesi, l'efficacia di una teoria: c'è già il metodo scientifico, pensato proprio per essere infallibile.
La scienza non ha alcuna pretesa di infallibilità per i risultati acquisiti. Il dubbio è impresso a fuoco nella natura del suo metodo.
Una dimostrazione esemplare è rappresentata dal secondo principio della termodinamica, così suggestivo per così tanti autori, artisti e connettivisti, per le sue relazioni con il concetto di entropia. [L'entropia è una immagine potente, potremmo dire che col tempo ha dimostrato la sua intrinseca natura di meme, dato che corre praticamente sulla bocca di tutti (comprese persone che non hanno grosse conoscenze o grossa stima della scienza) sebbene finora non abbia incontrato ancora nessuno in grado di spiegarmene con esattezza i segreti. L'entropia, nella sua formulazione accademica, scolastica, è un concetto elementare, eppure, per molti versi, l'entropia resta un mistero. Quello che conosciamo basta tuttavia ad affascinarmi anche più di quello che ancora non si comprende dei suoi risvolti. E' il fascino che emerge dalla percezione di una complessità, e dall'ansia di voler piegare questa complessità alla comprensione. Una comprensione che torni utile per decodificare il mondo e la realtà in cui viviamo.] La termodinamica, dicevo: il secondo principio non afferma che è impossibile che mettendo una pentola d'acqua sui fornelli l'acqua al suo interno congeli. Il secondo principio (sia lode a Lord Kelvin, a Clausius, a Nernst, a Maxwell e a tutti gli scienziati che hanno contribuito alla sua comprensione e formulazione) afferma semplicemente che è altamente improbabile. E nessuno, men che meno la scienza, vi vieta di sedervi davanti alla pentola e attendere, attendere, attendere pazienti - milioni, miliardi, miliardi di miliardi di anni - finché la pentola congelerà sui fornelli, cedendo calore al fuoco anziché assorbirne. E' un evento possibile, ma statisticamente improbabile al punto che non ho mai ancora conosciuto nessuno che abbia avuto il coraggio di sostenere di avervi assistito.
Decodificare è quello che ha sempre cercato di fare la scienza. E questo è un altro punto che la distingue categoricamente da qualsiasi divagazione mistica o sovrannaturale sulla vita, l'universo e tutto il resto: la scienza vuole decodificare, semplificare, laddove le dottrine mistico-esoteriche tendono ad avvolgere il tutto nelle nebbie dell'incertezza, in una vaghezza che non spiega ma che lascia solo spazio all'interpretazione. Ovviamente, anche il metodo sperimentale si basa sull'interpretazione (è l'interpretazione di un fenomeno a condurre al tentativo di spiegazione dell'ipotesi) ma ha l'onestà di non giudicare mai acquisito un risultato, neppure quando appare certo e incontrovertibile ai più. Laddove mi sembra che la religione e le fedi (di qualsiasi matrice esse siano, vaticane o meno) trattano l'interpretazione come una licenza di diritto, la scienza se ne serve per il beneficio del dubbio. Dopo aver condiviso un risultato, quel risultato viene giudicato vero fino a prova contraria. Niente, nella scienza, è assolutamente vero o vero a prescindere.
Gli assoluti esistono solo nella matematica e nelle religioni. Ma nessuno mi ha ancora convinto della fondatezza di un'ipotesi senza portarmi una dimostrazione. Alle affermazioni indimostrabili io dò un nome. E il nome della disciplina che se ne occupa non è scienza.
Quindi, per prima cosa quando si affrontano discussioni simili, dovremmo tutti avere ben chiaro in testa di cos'è che stiamo discutendo.
Dubbiosamente vostro,
X
Ho sognato una tempesta concettuale forza cinque che soffiava sulla realtà devastata. - Jean Baudrillard
uno Strano Attrattore