E’ ancora possibile una fantascienza de-tecnologizzata?
Inviato: giovedì 2 agosto 2007, 15:00
Ciao Ragazzi,
in questi primi giorni d'agosto una riflessione serale trascritta in mattinata... per allietarvi dalla noia del mare, delle spiagge e del sole.
Questa riflessione nasce dall’ottimo articolo di Giovanni (X) presente nell’ottava iterazione di Next sulla situazione della fantascienza mondiale e con un particolare e forte cenno a quella che potremmo chiamare la new wave scozzese che raccoglie nelle sue file autori come Charles Stross.
Giovanni evidenziava in maniera molto chiara come la nuova tendenza della fantascienza mondiale, rappresentata da autori quali lo stesso Stross, Vinge, McLeod ed altri, sia di una “accelerazione” della componente tecnologica (o ipertecnologica) nella narrazione. In un’epoca in cui il salto verso la Singolarità sembra ormai prossimo, la fantascienza, che non vuole perdere il suo potere predittivo e anticipatore, non può che indirizzare la sua attenzione alla tecnologia, ergendola de facto a protagonista della sua produzione.
Giovanni sostiene che questa tendenza dovrebbe essere propria anche del Connettivismo, che più di tutti vuole soffermarsi sull’anticipazione di ciò che sarà l’uomo post-umano immerso in una realtà tecnologicamente nuova e ormai permeata ne vivere quotidiano dell’uomo.
Un’osmosi fra uomo e realtà neo-tecnologica così radicata da interferire persino nell’ontologia stessa dell’essere umano, trasformandolo da Uomo a Post-Uomo (non Uber, si badi bene).
Il Connettivismo vuole allora guardare in faccia questa nuova realtà che si appresta a venire, anticipandola, studiandola, tentando di comprenderla e, perché no, accelerarla.
La domanda da cui parte questa mia breve e modesta analisi va, invece, nella direzione opposta. Mi sono chiesto: è ancora possibile immaginare (e quindi scrivere) una fantascienza de-tecnologizzata?
Ho quindi immaginato gli scenari in cui ipotizzare una “resistenza” della fantascienza non tecnologica.
Il primo scenario che si apre è piuttosto semplice ed ovvio. Si può immaginare in modo coerente e sensato una fantascienza priva di tecnologia in contesti narrativi creati ad hoc. Mi riferisco in particolare a narrazioni che trattino di:
1- Scenari post-apocalittici
2- Scenari post – cataclismatici
3- Scenari post-epidemici
Oppure narrazioni che leghino la fantascienza a indagini di natura etnografica ed antropologica ovvero le vicende di esploratori spaziali alle prese con lo studio e la scoperta della “cultura” antropologicamente intesa di una razza autoctona e più o meno primitiva di un pianeta.
In questi casi la fantascienza può non essere tecnologizzata senza incoerenze o impoverimenti, tuttavia è chiaro che lo spettro di indagine e la potenzialità stessa della SF (che in fondo è la sua forza) ne risulta violentemente limitata.
Dobbiamo quindi ipotizzare e sustruire una fantascienza non auto-limitata nell’oggetto del suo narrare, osservando se è possibile ancora realizzare un raccontare non tecnologizzato.
Quando sosteniamo di voler indagare la possibilità di una fantascienza non tecnologizzata intendiamo la possibilità di immaginare una fantascienza che sia tale, che non abbia perso neppure un briciolo del potere immaginativo e predittivo che le è connaturato. Vogliamo cercare di indagare se è ancora possibile scrivere una SF contemporanea, attuale, innovativa (così come vuol esserlo il Connettivismo) ma privata del contenuto tecnologico o con tale contenuto limitato a livello di comparsa.
Sarebbe infatti facile scrivere una fantascienza de-tecnologizzata ripetendo cliché e topoi narrativi mille volte già affrontati in una sorta di ritorsione narrativa e di autoreferenzialità celebrativa.
La fantascienza che si vuole ipotizzare deve mantenere le caratteristiche peculiari di genere: predittività, innovatività, ecc.
Veniamo ora agli scenari che si aprono nel voler indagare la possibilità di una SF non tecnologizzata.
Credo che per immaginare una narrativa fantascientifica deprivata dei contenuti di tecnoliga si debbano postulare due differenti weltanshaung della situazione umana contemporanea nel suo evolvere verso la dimensione post-umana.
Da un lato, in modo forse radicale e forte, la concezione che l’uomo non sta evolvendo verso una realtà post-umana. Ovvero che le dinamiche internazionali, personali, ontologiche dell’uomo non vengono in alcun modo modificate dall’evoluzione della tecnologia che gli sta intorno e che l’uomo quotidianamente utilizza per la ragione che l’uomo di fatto non evolve.
Dall’altro lato, lo scenario ipotizzabile è quello di una effettiva evoluzione dell’uomo verso il postumanismo, ma con la convinzione che tale evoluzione non è subordinata all’utilizzo di nuove tecnologie invasive. Si tratta di lasciarsi suggestionare dall’idea che il cammino evolutivo dell’uomo riguardi le sue componenti sostanziali e che sia di fatto già in nuce nel suo stesso essere uomo. In questo caso, in disaccordo con gli insegnamenti Aristotelici, si configura una situazione di necessitazione a priori di tipo deterministico, per cui è la natura stessa dell’uomo (genetica, morale, ontologica che sia) a determinare e attuare il progressivo superamento di stati evolutivi precedenti.
Vediamo meglio ed entriamo nel dettaglio.
La situazione che ci si presenta nel primo caso è cinicamente semplice e chiara. L’uomo è incapace di una qualunque forma di evoluzione (che in quanto tale è miglioramento) e resta costretto ad un’assurda ripetizione di dinamiche comportamentali simili che sottintendono attribuzioni di significati identici nel tempo. Un esempio può venire in soccorso: nell’epoca di forme di comunicazioni iper sviluppate (sms, skype, ecc.) in cui sembrerebbe aprirsi la possibilità di una comunicazione efficace, effettiva e comprensibile fra uomini, assistiamo al fenomeno per cui identica resta l’incomprensione di fondo, anzi pare persino accentuata da questi nuovi strumenti. Spiegazione a tale fenomeno è che non è tanto la miglioria degli strumenti a permettere la comprensione della comunicazione dell’uomo perché di fondo resta un’ontologica incapacità comunicazionale ineliminabile. Una condanna che non viene condonata da strumenti tecnologici.
Una delle riprove che si potrebbero addurre a conferma di questa ipotesi è la lettura delle poesie d’amore, ad una analisi anche superficiale emerge come i temi, i contenuti, le immagini, le forme, i contenuti siano rimasti de facto identici lungo tutto il trascorrere dei secoli, indipendentemente dall’evoluzione tecnologica attuata.
Se questa realtà fosse vera (eresia connettivista) lo scenario che si aprirebbe consentirebbe di ipotizzare una fantascienza predittiva, analiticamente potente anche in un contesto non tecnologizzato. Infatti la tecnologia non sarebbe più elemento sostanziale nell’indagine e nell’analisi dell’uomo ma resterebbe una parte accessoria, un accidente non ontologicamente rilevante. Heidegger direbbe una parte ontica dell’uomo che nulla dice dell’essere stesso dell’uomo, ovvero del Dasein.
In questa prima ipotesi, in realtà, arriveremmo a conclusioni ancora più radicate, infatti, avremmo da interrogarci sul significato stesso di un genere letterario che fa dell’anticipazione e della predizione uno dei suoi punti di forza ma che si rivolge all’indagine di un essere (l’uomo) che sostanzialmente nei suoi meccanismi di base resta identico: tale era, tale è e tale sarà.
La fantascienza in questo caso dovrà mostrare, urlandolo, questo essere statico e ripetitivo dell’uomo. Immagino allora testi di fantascienza che riveleranno non tanto come sarà l’uomo del domani, quanto piuttosto che l’uomo del domani sarà identicamente assurdo tanto quanto l’uomo dell’oggi.
Dick sembra essere uno degli autori inseribili nell’ipotetico catalogo di questa fantascienza, anche se forse in questa prospettiva è Albert Camus il miglior romanziere Sf.
Passiamo ora all’altra ipotesi di fondo, l’evoluzione dell’uomo verso matrici postumane non condizionato da aspetti e da fenomeni di natura esterna ed in particolare tecnologica.
Questa prospettiva, rispetto alla precedente, è senza dubbio di natura più ottimistica, lasciando aperta la possibilità all’uomo di superare i limiti attuali e temporaneamente connaturati verso una nuova dimensione evoluta.
La domanda che resta aperta è che cosa di fatto attua e mette in moto, inerziale, questa evoluzione. La fantascienza attuale di cui abbiamo fatto breve cenno nelle prime righe e sostanzialmente anche il Connettivismo sostengono che è la Singolarità Tecnologica a garantire il salto verso il postumanismo, il punto di rottura fra l’attuale dimensione “umana” della tecnologia e quella “postumana”, in cui l’uomo non potrà più riconoscersi e sarà costretto ad evolvere per sopravvivere. Ben riesce Richard Morgan nella sua serie dedicata a Takeshi Kovacs a mostrare come lo iato tecnologico dell’immediato futuro condizioni l’esistenza stessa dell’uomo, fino (forse) il suo essere ontologicamente inteso.
Se però, come alcuni, sosteniamo che non sono strumenti esterni (di una qualunque natura) a determinare l’evoluzione dell’uomo quanto piuttosto la stessa natura umana che ha in sé il germe di un suo automodificarsi e automigliorarsi in un processo retroattivo T.O.T.E. (Test, Exit, Test, Operate), si apre un nuovo teatro di prospettive del tutto inindagate.
L’uomo vivendo ogni giorno determinate situazioni sperimenta soluzioni via via più efficaci che progressivamente introietta e fa sue, tanto da farle diventare costitutive e proprie. In tale senso non sono gli strumenti in quanto tali a determinare, condizionare e promuovere l’evoluzione dell’uomo, essi, al massimo, rappresentano un semplice supporto di un meccanismo che ha altrove la sua ragion d’essere e il suo senso.
Accettando tale punto di vista appare chiaro che la fantascienza potrà proporsi come non necessariamente tecnologizzata senza perdere la propria aspirazione all’indagine e all’anticipazione. La tecnologia potrà restare sullo sfondo di narrazioni che riflettono l’uomo contestualizzato in una dimensione futuribile e tipicamente (almeno nei topoi narrativi di genere) Sf. Sarà dunque l’uomo in quanto tale a venir studiato, presentato e predetto, l’uomo nel suo connaturato, lento procedere verso stati evolutivi successivi.
Quali autori possono essere considerati appartenenti a tale visione di Sf? Io direi che un autore con Dan Simmons possa esserne considerato come il massimo esponente. Il suo ciclo di Hyperion e il successivo di Olympos descrivono e affrontano in maniera molto precisa i nuovi orizzonti dell’evoluzione umana e senza tuttavia fare della tecnologia l’elemento cardine e centrale della narrazione. In Simmons anzi la tecnologia sembra restare sullo sfondo, mai dettagliata, mai spiegata, quasi che fosse una sorta di elemento magico che funziona, senza necessariamente interrogarsi sul come e sul perché.
Concludendo questa breve digressione sulla possibilità di immaginare ancora una fantascienza de-tecnologizzata possiamo sostenere che, a partire da riflessioni sul senso stesso della SF e sulla sua definizione, si può ipotizzare una narrazione fantascientifica che sia deprivata, completamente o solo in parte, della tecnologia e delle sue innovazioni repentine.
Rispetto a quanto sosteneva Giovanni nell’articolo sull’ottava iterazione il passaggio sta nel ruolo a cui assurge la tecnologia nella produzione fantascientifica, da ruolo di indiscussa protagonista sino a comparsa secondaria.
Ammetto di preferire da sempre una fantascienza in cui non sia la tecnologia a dare il senso del narrare stesso, arrivando sino a derive per cui l’uomo (e le sue mille contraddizioni) è marginalizzato dalle presenza schiacciante di strumentazioni dettagliatamente descritti, necessariamente (scientificamente e ingegneristicamente) plausibili.
Leggo e vorrei continuare a leggere (forse anche a scrivere?) una fantascienza in cui i contenuti peculiari di genere siano un semplice pretesto, una scusa, per compiere un’analisi disincantata, decontestualizzata dal presente reale, per mostrare l’uomo in quanto tale. Il tipico effetto dello straniamento che spesso la fantascienza ha utilizzato.
La tecnologia in questo modo di scrivere Sf serve allora per contribuire allo scollamento fra il presente di oggi, la realtà attuale, il contesto quotidiano e conosciuto e dall’altro lato un oggi diverso, straniato, spiazzante in cui osservare come muove l’uomo e i suoi comportamenti.
E’ possibile quindi ipotizzare concretamente una fantascienza de-tecnologizzata, tuttavia per farlo è necessario compiere una riflessione anticipata sul senso stesso di questo genere e, ancora più in profondità, sull’esistenza e sull’essere stesso dell’uomo.
Nella mia personale visione di chi sono, di chi è l’uomo, tale fantascienza non solo è possibile ma è persino auspicabile.
Ma ovviamente è la mia visione.
Logos
in questi primi giorni d'agosto una riflessione serale trascritta in mattinata... per allietarvi dalla noia del mare, delle spiagge e del sole.
Questa riflessione nasce dall’ottimo articolo di Giovanni (X) presente nell’ottava iterazione di Next sulla situazione della fantascienza mondiale e con un particolare e forte cenno a quella che potremmo chiamare la new wave scozzese che raccoglie nelle sue file autori come Charles Stross.
Giovanni evidenziava in maniera molto chiara come la nuova tendenza della fantascienza mondiale, rappresentata da autori quali lo stesso Stross, Vinge, McLeod ed altri, sia di una “accelerazione” della componente tecnologica (o ipertecnologica) nella narrazione. In un’epoca in cui il salto verso la Singolarità sembra ormai prossimo, la fantascienza, che non vuole perdere il suo potere predittivo e anticipatore, non può che indirizzare la sua attenzione alla tecnologia, ergendola de facto a protagonista della sua produzione.
Giovanni sostiene che questa tendenza dovrebbe essere propria anche del Connettivismo, che più di tutti vuole soffermarsi sull’anticipazione di ciò che sarà l’uomo post-umano immerso in una realtà tecnologicamente nuova e ormai permeata ne vivere quotidiano dell’uomo.
Un’osmosi fra uomo e realtà neo-tecnologica così radicata da interferire persino nell’ontologia stessa dell’essere umano, trasformandolo da Uomo a Post-Uomo (non Uber, si badi bene).
Il Connettivismo vuole allora guardare in faccia questa nuova realtà che si appresta a venire, anticipandola, studiandola, tentando di comprenderla e, perché no, accelerarla.
La domanda da cui parte questa mia breve e modesta analisi va, invece, nella direzione opposta. Mi sono chiesto: è ancora possibile immaginare (e quindi scrivere) una fantascienza de-tecnologizzata?
Ho quindi immaginato gli scenari in cui ipotizzare una “resistenza” della fantascienza non tecnologica.
Il primo scenario che si apre è piuttosto semplice ed ovvio. Si può immaginare in modo coerente e sensato una fantascienza priva di tecnologia in contesti narrativi creati ad hoc. Mi riferisco in particolare a narrazioni che trattino di:
1- Scenari post-apocalittici
2- Scenari post – cataclismatici
3- Scenari post-epidemici
Oppure narrazioni che leghino la fantascienza a indagini di natura etnografica ed antropologica ovvero le vicende di esploratori spaziali alle prese con lo studio e la scoperta della “cultura” antropologicamente intesa di una razza autoctona e più o meno primitiva di un pianeta.
In questi casi la fantascienza può non essere tecnologizzata senza incoerenze o impoverimenti, tuttavia è chiaro che lo spettro di indagine e la potenzialità stessa della SF (che in fondo è la sua forza) ne risulta violentemente limitata.
Dobbiamo quindi ipotizzare e sustruire una fantascienza non auto-limitata nell’oggetto del suo narrare, osservando se è possibile ancora realizzare un raccontare non tecnologizzato.
Quando sosteniamo di voler indagare la possibilità di una fantascienza non tecnologizzata intendiamo la possibilità di immaginare una fantascienza che sia tale, che non abbia perso neppure un briciolo del potere immaginativo e predittivo che le è connaturato. Vogliamo cercare di indagare se è ancora possibile scrivere una SF contemporanea, attuale, innovativa (così come vuol esserlo il Connettivismo) ma privata del contenuto tecnologico o con tale contenuto limitato a livello di comparsa.
Sarebbe infatti facile scrivere una fantascienza de-tecnologizzata ripetendo cliché e topoi narrativi mille volte già affrontati in una sorta di ritorsione narrativa e di autoreferenzialità celebrativa.
La fantascienza che si vuole ipotizzare deve mantenere le caratteristiche peculiari di genere: predittività, innovatività, ecc.
Veniamo ora agli scenari che si aprono nel voler indagare la possibilità di una SF non tecnologizzata.
Credo che per immaginare una narrativa fantascientifica deprivata dei contenuti di tecnoliga si debbano postulare due differenti weltanshaung della situazione umana contemporanea nel suo evolvere verso la dimensione post-umana.
Da un lato, in modo forse radicale e forte, la concezione che l’uomo non sta evolvendo verso una realtà post-umana. Ovvero che le dinamiche internazionali, personali, ontologiche dell’uomo non vengono in alcun modo modificate dall’evoluzione della tecnologia che gli sta intorno e che l’uomo quotidianamente utilizza per la ragione che l’uomo di fatto non evolve.
Dall’altro lato, lo scenario ipotizzabile è quello di una effettiva evoluzione dell’uomo verso il postumanismo, ma con la convinzione che tale evoluzione non è subordinata all’utilizzo di nuove tecnologie invasive. Si tratta di lasciarsi suggestionare dall’idea che il cammino evolutivo dell’uomo riguardi le sue componenti sostanziali e che sia di fatto già in nuce nel suo stesso essere uomo. In questo caso, in disaccordo con gli insegnamenti Aristotelici, si configura una situazione di necessitazione a priori di tipo deterministico, per cui è la natura stessa dell’uomo (genetica, morale, ontologica che sia) a determinare e attuare il progressivo superamento di stati evolutivi precedenti.
Vediamo meglio ed entriamo nel dettaglio.
La situazione che ci si presenta nel primo caso è cinicamente semplice e chiara. L’uomo è incapace di una qualunque forma di evoluzione (che in quanto tale è miglioramento) e resta costretto ad un’assurda ripetizione di dinamiche comportamentali simili che sottintendono attribuzioni di significati identici nel tempo. Un esempio può venire in soccorso: nell’epoca di forme di comunicazioni iper sviluppate (sms, skype, ecc.) in cui sembrerebbe aprirsi la possibilità di una comunicazione efficace, effettiva e comprensibile fra uomini, assistiamo al fenomeno per cui identica resta l’incomprensione di fondo, anzi pare persino accentuata da questi nuovi strumenti. Spiegazione a tale fenomeno è che non è tanto la miglioria degli strumenti a permettere la comprensione della comunicazione dell’uomo perché di fondo resta un’ontologica incapacità comunicazionale ineliminabile. Una condanna che non viene condonata da strumenti tecnologici.
Una delle riprove che si potrebbero addurre a conferma di questa ipotesi è la lettura delle poesie d’amore, ad una analisi anche superficiale emerge come i temi, i contenuti, le immagini, le forme, i contenuti siano rimasti de facto identici lungo tutto il trascorrere dei secoli, indipendentemente dall’evoluzione tecnologica attuata.
Se questa realtà fosse vera (eresia connettivista) lo scenario che si aprirebbe consentirebbe di ipotizzare una fantascienza predittiva, analiticamente potente anche in un contesto non tecnologizzato. Infatti la tecnologia non sarebbe più elemento sostanziale nell’indagine e nell’analisi dell’uomo ma resterebbe una parte accessoria, un accidente non ontologicamente rilevante. Heidegger direbbe una parte ontica dell’uomo che nulla dice dell’essere stesso dell’uomo, ovvero del Dasein.
In questa prima ipotesi, in realtà, arriveremmo a conclusioni ancora più radicate, infatti, avremmo da interrogarci sul significato stesso di un genere letterario che fa dell’anticipazione e della predizione uno dei suoi punti di forza ma che si rivolge all’indagine di un essere (l’uomo) che sostanzialmente nei suoi meccanismi di base resta identico: tale era, tale è e tale sarà.
La fantascienza in questo caso dovrà mostrare, urlandolo, questo essere statico e ripetitivo dell’uomo. Immagino allora testi di fantascienza che riveleranno non tanto come sarà l’uomo del domani, quanto piuttosto che l’uomo del domani sarà identicamente assurdo tanto quanto l’uomo dell’oggi.
Dick sembra essere uno degli autori inseribili nell’ipotetico catalogo di questa fantascienza, anche se forse in questa prospettiva è Albert Camus il miglior romanziere Sf.
Passiamo ora all’altra ipotesi di fondo, l’evoluzione dell’uomo verso matrici postumane non condizionato da aspetti e da fenomeni di natura esterna ed in particolare tecnologica.
Questa prospettiva, rispetto alla precedente, è senza dubbio di natura più ottimistica, lasciando aperta la possibilità all’uomo di superare i limiti attuali e temporaneamente connaturati verso una nuova dimensione evoluta.
La domanda che resta aperta è che cosa di fatto attua e mette in moto, inerziale, questa evoluzione. La fantascienza attuale di cui abbiamo fatto breve cenno nelle prime righe e sostanzialmente anche il Connettivismo sostengono che è la Singolarità Tecnologica a garantire il salto verso il postumanismo, il punto di rottura fra l’attuale dimensione “umana” della tecnologia e quella “postumana”, in cui l’uomo non potrà più riconoscersi e sarà costretto ad evolvere per sopravvivere. Ben riesce Richard Morgan nella sua serie dedicata a Takeshi Kovacs a mostrare come lo iato tecnologico dell’immediato futuro condizioni l’esistenza stessa dell’uomo, fino (forse) il suo essere ontologicamente inteso.
Se però, come alcuni, sosteniamo che non sono strumenti esterni (di una qualunque natura) a determinare l’evoluzione dell’uomo quanto piuttosto la stessa natura umana che ha in sé il germe di un suo automodificarsi e automigliorarsi in un processo retroattivo T.O.T.E. (Test, Exit, Test, Operate), si apre un nuovo teatro di prospettive del tutto inindagate.
L’uomo vivendo ogni giorno determinate situazioni sperimenta soluzioni via via più efficaci che progressivamente introietta e fa sue, tanto da farle diventare costitutive e proprie. In tale senso non sono gli strumenti in quanto tali a determinare, condizionare e promuovere l’evoluzione dell’uomo, essi, al massimo, rappresentano un semplice supporto di un meccanismo che ha altrove la sua ragion d’essere e il suo senso.
Accettando tale punto di vista appare chiaro che la fantascienza potrà proporsi come non necessariamente tecnologizzata senza perdere la propria aspirazione all’indagine e all’anticipazione. La tecnologia potrà restare sullo sfondo di narrazioni che riflettono l’uomo contestualizzato in una dimensione futuribile e tipicamente (almeno nei topoi narrativi di genere) Sf. Sarà dunque l’uomo in quanto tale a venir studiato, presentato e predetto, l’uomo nel suo connaturato, lento procedere verso stati evolutivi successivi.
Quali autori possono essere considerati appartenenti a tale visione di Sf? Io direi che un autore con Dan Simmons possa esserne considerato come il massimo esponente. Il suo ciclo di Hyperion e il successivo di Olympos descrivono e affrontano in maniera molto precisa i nuovi orizzonti dell’evoluzione umana e senza tuttavia fare della tecnologia l’elemento cardine e centrale della narrazione. In Simmons anzi la tecnologia sembra restare sullo sfondo, mai dettagliata, mai spiegata, quasi che fosse una sorta di elemento magico che funziona, senza necessariamente interrogarsi sul come e sul perché.
Concludendo questa breve digressione sulla possibilità di immaginare ancora una fantascienza de-tecnologizzata possiamo sostenere che, a partire da riflessioni sul senso stesso della SF e sulla sua definizione, si può ipotizzare una narrazione fantascientifica che sia deprivata, completamente o solo in parte, della tecnologia e delle sue innovazioni repentine.
Rispetto a quanto sosteneva Giovanni nell’articolo sull’ottava iterazione il passaggio sta nel ruolo a cui assurge la tecnologia nella produzione fantascientifica, da ruolo di indiscussa protagonista sino a comparsa secondaria.
Ammetto di preferire da sempre una fantascienza in cui non sia la tecnologia a dare il senso del narrare stesso, arrivando sino a derive per cui l’uomo (e le sue mille contraddizioni) è marginalizzato dalle presenza schiacciante di strumentazioni dettagliatamente descritti, necessariamente (scientificamente e ingegneristicamente) plausibili.
Leggo e vorrei continuare a leggere (forse anche a scrivere?) una fantascienza in cui i contenuti peculiari di genere siano un semplice pretesto, una scusa, per compiere un’analisi disincantata, decontestualizzata dal presente reale, per mostrare l’uomo in quanto tale. Il tipico effetto dello straniamento che spesso la fantascienza ha utilizzato.
La tecnologia in questo modo di scrivere Sf serve allora per contribuire allo scollamento fra il presente di oggi, la realtà attuale, il contesto quotidiano e conosciuto e dall’altro lato un oggi diverso, straniato, spiazzante in cui osservare come muove l’uomo e i suoi comportamenti.
E’ possibile quindi ipotizzare concretamente una fantascienza de-tecnologizzata, tuttavia per farlo è necessario compiere una riflessione anticipata sul senso stesso di questo genere e, ancora più in profondità, sull’esistenza e sull’essere stesso dell’uomo.
Nella mia personale visione di chi sono, di chi è l’uomo, tale fantascienza non solo è possibile ma è persino auspicabile.
Ma ovviamente è la mia visione.
Logos