Racconto Totale - Work in progess

Letture e recensioni dei racconti pubblicati.

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Racconto Totale - Work in progess

Messaggioda Abate » giovedì 24 maggio 2007, 23:47

«Se sorgesse una società del demonio, che combattesse despoti e preti, mi arruolerei nelle sue file»
( Giuseppe Garibaldi)


CITTA’ DEL VATICANO
4 maggio 1870

Nella fuga disperata lungo il corridoio che conduceva all’esterno della Basilica, il giovane prelato non prestò attenzione a quella piccola imperfezione nel marmo, invisibile ad occhio nudo, ma sufficiente per farlo cadere a terra.
Per alcuni istanti la vista gli si annebbiò ma subito dopo l’istinto di sopravvivenza di un uomo braccato lo ricondusse alla dura realtà. Spinto da nuova forza si alzò di scatto ma gli omuncoli pneumatici della gendarmeria palatina, raffinati prodotti dei sapienti artigiani macchinologici vaticani, che tra sbuffi di vapore e cigolii meccanici si erano lanciati al suo inseguimento, gli piombarono addosso immobilizzandolo all’istante.
– Padre Mantovani…
Una gelida voce giunse dal fondo della navata centrale avvolgendo statue, colonne torcili e affreschi millenari. Apparteneva a PioIX, il Pontefice. Nell’udirla il giovane prelato si rese conto che era giunto per lui il momento di affrontare un destino inevitabile. Vistosi spacciato cercò vanamente di divincolarsi, ma le articolazione meccaniche degli automi entrarono in tensione bloccandolo.
Il Pontefice gli si avvicinò e come se nulla fosse si mise a canticchiare un motivetto risorgimentale. – Piuttosto che languir per lunghi affanni, è meglio di morir sul fior degli anni! – A quel punto estrasse da sotto la tunica una pistola di legno di noce e acciaio, e senza alcun ripensamento fece fuoco. Il cranio di Padre Mantovani esplose in un’onda di materia cerebrale che finì per imbrattare i volti inespressivi dei gendarmi meccanici. Disgustato, PioIX si chinò sul cadavere strappando la pergamena ingiallita che il carbonaro stringeva ancora nella mano destra contratta in un ultimo spasmo di vita.
– Cesare de Horatiis – sibilò il Pontefice riponendo l’arma sotto le vesti – credevi davvero di uscire vivo da qui?

TORINO
5 maggio 1870

La coupé Brumm Ansaldo&c. del Generale Garibaldi (una carrozza alquanto bizzarra la cui forza motrice non era generata da una quadriglia di cavalli ma da una sfera di Eliogabalo, ultima meraviglia della macchinologia a vapore, che per mezzo della sua rapida rotazione scaricava energia cinetica sugli assi delle ruote spingendo la vettura a discreta velocità) entrò nel parco di villa Tesoreria, aggirò la fontana di marmo bianco illuminata da decine di fiaccole e si arrestò dinanzi all’ingresso principale di quella che un tempo fu sede della tesoreria Sabauda. Non appena il vapore acqueo dalla caldaia a circolazione forzata montata sul retro della carrozza si disperse nella notte, Pionono (l’automa personale del Generale) saltò a terra. Accertata l’assenza di pericoli tramite l’emissione di un lieve segnale acustico, Giuseppe Garibaldi uscì allo scoperto e con movenze incerte (il sistema di cinghie e pulegge della protesi idraulica della sua gamba destra, mutilata anni prima sull’Aspromonte, necessitava ancora delle necessarie regolazioni) andò incontro all’uomo che lo aspettava trepidante sulla porta.
– Nino, amico mio! – esordì Garibaldi allargando le braccia.
– Felice di vederla Generale – rispose il senatore Girolamo Bixio, l’amico fedele sin dai tempi della seconda guerra d’indipendenza. – L’emissario giunto da Parigi la sta aspettando.
– Che tipo è? – chiese Garibaldi.
– E’ Francese… – tagliò corto Nino Bixio invitando il suo leggendario Comandante a seguirlo.
– Tu bada alla carrozza – disse Garibaldi, rivolgendosi al suo automa.
– Obbedisco! – rispose prestamente Pionono, utilizzando la sola parola umana elaborata nelle sue schede perforate.

– Eccovi finalmente! – protestò il comandante della Guardia Imperiale di NapoleoneIII, Maresciallo Charles Denis Bourbaki, nell’accogliere il Generale. – Sono ore che aspetto!
Giuseppe Garibaldi si sfilò il tabarro e lo porse al senatore Bixio. – Dopo il decollo dall’eliodromo di Caprera, il Cambria ha trovato brutto tempo fino alle coste della Liguria – raccontò il Generale – e se sono qui, sano e salvo, lo devo soltanto ai miei ufficiali trasvolatori.
Per nulla interessato alle sorti dell’aeronave personale di Garibaldi, il Maresciallo Bourbaki tracannò l’ennesimo calice di vino per poi asciugarsi la bocca con la manica della sua uniforme piena zeppa di medaglie e coccarde multicolore.
– Notizie di Crocco e della sua masnada di indipendentisti?
– Marciano da giorni sui versanti orientali dell’Appennino meridionale diretti a Roma – rispose Garibaldi avvicinandosi alla carta topografica del regno appesa alla parete est del salone.
– Ne è sicuro?– lo incalzò il Maresciallo.
– I miei automi vedetta cablati sulla rete pantelegrafica trasmettono immagini giornaliere alla centrale di Caprera – e posando una mano sulla carta aggiunse:– Crocco non sa che osservo ogni suo movimento…
– Apprezzo chi dimostra una fiducia incondizionata nella tecnologia, del resto mi ritengo illuminista convinto – replicò il Maresciallo Bourbaki, evitando accuratamente di mascherare il sarcasmo celato nelle sue parole – ma a Parigi chiedono fatti e non belle parole lanciate nel vento. Il nostro aiuto nel portare a termine la sua visione di uno stato unitario esige da parte sua una completa collaborazione. I mille automi devono entrare al più presto in azione; la guerra ai Prussiani necessita della vostra scienza macchinologica. Quindi, Generale Giuseppe Garibaldi, lei mi deve dire se i suoi scienziati sono in grado di fornire alla Francia le armi per affrontare gli eserciti del Kaiser!
Mostrando un apprezzabile controllo della situazione, Giuseppe Garibaldi chiese gentilmente al senatore Bixio di procurargli una bottiglia di acquavite e qualche sigaro: l’incontro con l’irritante ufficiale francese si sarebbe protratto per tutta la notte.
Abate
 
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Re: Racconto Totale - Work in progess

Messaggioda X » sabato 26 maggio 2007, 17:13

Ottimo lavoro, Simone! C'è solo una cosa che a guardarla adesso con calma mi desta perplessità.

Abate ha scritto:– Notizie di Crocco e della sua masnada di indipendentisti?
– Marciano da giorni sui versanti orientali dell’Appennino meridionale diretti a Roma – rispose Garibaldi avvicinandosi alla carta topografica del regno appesa alla parete est del salone.


Questo evento mal si accorda alla data del 5 maggio in cui fissi il momento dell'incontro tra Garibaldi e il luogotenente di Napoleone III. Secondo me, dovremmo rispettare le date, lasciando la presa di Roma al 20 settembre. Quindi questo è un evento che potrebbe essere avvenuto intorno al 10 settembre, ovvero prima che Garibaldi parta per la missione di annessione (al posto di Cadorna). Io terrei tutto com'è, insomma, ma sposterei quelle battute relative al movimento delle armate brigantesche a un capitolo futuro, prima della partenza dei garibaldini per Roma.

X

PS: Ho cambiato titolo al topic. Penso che faremmo bene a tenere il vecchio thread per discutere di faccende generali, e a spostarci qui per i commenti a ciascun contributo e per i nuovi capitoli. Visto che mi sembra esserci concordanza sull'incipit, vado ora a proseguire la mia sezione... A presto! :wink:
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Messaggioda X » sabato 26 maggio 2007, 18:58

PENDICI DEL VULTURE
20 agosto 1870

Quando, abbandonate le strade del Regno per proseguire lungo accidentati sentieri di montagna, dopo tre giorni di marcia Giovanni Passannante aveva scavallato l’Appennino dal passo della Sella di Conza, in lontananza le sette gobbe del Vulture lo avevano salutato dall’orizzonte. Il messaggero aveva proseguito per un altro giorno attraverso i borghi che sovrastavano la valle dell’Ofanto sul versante lucano, addentrandosi nel territorio dei briganti, e a sera aveva trovato ospitalità in una taverna di Rionero. Era stato lì che subito dopo la zuppa di farro servita per cena, con sua grande sorpresa era stato raggiunto da una lettera anonima che lo informava di essere atteso dal Generale per l’indomani.
Passannante aveva rimuginato sul bigliettino fino a tarda notte, nella luminescenza ondeggiante della candela, mentre i suoi due compagni di stanza ronfavano indisturbati. Ora, mentre si inerpicava su un crinale verso la Ginestra, stava ancora ripensando alla forma che il Generale aveva assunto nelle sue fantasie da bambino, quando nemmeno dieci anni prima con il suo esercito di pezzenti aveva tentato la liberazione del Meridione dall’invasore piemontese. Il Demonio, spauracchio di preti e collaborazionisti, aveva sfiorato il suo sogno di ricacciare via gli occupanti da quei monti, prima di essere esorcizzato non dall’esercito regio, ma dalla guardia pontificia. In fuga dalle misure repressive della guardia nazionale, il tradimento di Papa Pio IX lo aveva condannato a sette anni di prigione prima di una rocambolesca evasione propiziata nessuno sapeva ancora bene da chi. Le contromisure del governo per impedire a Carmine Crocco di tornare nella sua Basilicata e tentare di riorganizzare le armate di contadini, pastori e briganti erano state del tutto inadeguate. Passannante non doveva quindi stupirsi del biglietto: Rionero in Vulture era il cuore dell’impero brigantesco del Generale; laggiù non si muoveva foglia senza che fosse stato comandato da Crocco in persona o dai suoi fidati luogotenenti.
Era ancora perso tra i suoi pensieri Passannante, quando il sole prossimo al culmine della sua parabola celeste fu improvvisamente oscurato. L’ombra che si stagliò sul suo cavallo non era quella fresca e viva delle fronde dei faggi che costeggiavano il tratturo: era piuttosto gelida – inanimata – come avrebbe potuto essere quella proiettata da un grosso palazzo di città. Il messaggero sollevò lo sguardo al cielo e l’orrore e la paura lo paralizzarono: silenzioso, un pallone gigantesco lo dominava. Era un marchingegno diabolico e si avvicinava sempre di più a lui. Il cavallo nitrì spaventato e Passannante dovette tenere ben salde le redini per non finire disarcionato.
Alle prese con il cavallo bizzoso, il giovane carbonaro non riuscì a liberare una mano per impugnare la pistola: calandosi per delle funi, quattro briganti furono presto su di lui, e mentre due si occupavano di ammansire il cavallo, gli altri gli puntarono contro le loro bocche da fuoco.
– Sei tu l’uomo di Mazzini? – chiese uno, mentre un ghigno giallo si apriva nella barba nera come pece.
Passannante era ancora in preda al terrore, ipnotizzato dalla mole del marchingegno che incombeva su di loro appena al di sopra degli alberi. – Sono io – confermò. – Reco un messaggio per il vostro Generale…
– Parola d’ordine? – lo incalzò l’altro.
– Parola… – esitò Passannante. – La tranquillità… – riprese a farfugliare poi. – La tranquillità d’Europa è una chimera.
– Libertà dal Piemontese! – acclamarono i briganti, distogliendo i fucili.
– Smonta da cavallo – lo invitò il primo brigante. – Abbiamo un trasporto più veloce – aggiunse poi, riproponendo ancora una volta un sinistro ghigno di denti marci.
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Messaggioda leobulero » domenica 27 maggio 2007, 21:30

20 Agosto 1870

Immense distese boschive danzavano sotto gli occhi malinconici del ragazzo mentre il crepitio del bruciatore si sovrapponeva al rombare del vento in una melodia ibrida di tecnica e natura.
- Che notizie porti giovanotto? – Grugnì l’uomo barbuto portando alle narici di Giovanni l’odore terribile e acre del suo alito.
- Non mi è dato sapere niente, sono un messaggero, non l’ideatore della missiva – Tagliò corto il ragazzo tornando al suo paesaggio. Da quando era montato sulla “fortezza Volante” come la chiamavano i briganti un senso di oppressione lo aveva colto, una reminescenza forse, si sentiva in trappola, stretto in una morsa claustrofobia, impossibilitato al movimento e alla fuga.
- Ti va del liquore giovanotto? – grugnì di nuovo L’uomo, ancora indispettito dal mancato soddisfacimento della sua sete di notizie. – Certo che mi va – rispose Giovanni accennando un sorriso. Un piccola bottiglia uscì fuori dalla giacca consumata del brigante. Dette una sorsata seguita da una smorfia di disgusto. Poi la passò ghignando in direzione del giovane.
Giovanni se la portò alla bocca buttando giù poi una grossa sorsata, timoroso di essere preso per una donnicciola. Il liquido scivolò come acido fenico negli organi di Passannante spazzando via tutto come un fuoco purificatore. Il volto del ragazzo divenne rosso fuoco, un turbinio di colpi di tosse lo scosse come un terremoto.
Il brigante esplose in una fragorosa risata. –Lo chiamiamo il brucia Re! – esclamò.
Si grattò il fondoschiena di gusto poi tendendo la mano appena utilizzata per i suoi loschi affari corporei disse: - Il mio nome è Gerardo – Giovanni ricambiò il gesto presentandosi, mentre con tutta la forza di volontà tratteneva i colpi di tosse.
L’Italia continuò a slittare sotto di loro mentre tornavano in coperta, uniforme all’occhio, tagliata solo da rozzi confini virtuali.
L’interno del piccolo dirigibile era costituito da una piccola sala macchine all’interno della quale il timoniere si affaccendava sporco e sudato, poco distante un omone pelato più sporco e più sudato dell’altro trafficava con la caldaia imprecando a ritmo continuo con o senza motivo.
Tre briganti giocavano a carte ad un piccolo tavolino, a pochi metri le luride cuccette attendevano i passeggeri in cerca di riposo.
Com’è la situazione? – Domandò Giovanni mentre attraversavano la stanza. Gerardo si fermò e con fare confidenziale rispose al ragazzo.
- Si vocifera che presto ci sarà qualcosa di enorme, l’Italia è una polveriera giovanotto, noi siamo la scintilla – Il ghigno era sparito, sostituito da un volto serio, forse pensava ai parenti, agli amici, qualcosa turbava quella figura mastodontica apparentemente eterna ed intoccabile.
Giovanni stanco per il viaggio e stordito dal liquore letale si congedò ben presto dai suoi compagni di viaggio lasciandoli ai loro giochi e al loro Brucia Re.
Nonostante la stanchezza non riusciva a prendere sonno, tormentato da terrificanti immagini lontane, alla fine si addormentò e sognò di affogare, si svegliò di nuovo udendo con disgusto un forte peto seguito da una fragorosa risata.
Continuò a rigirarsi nel letto, poi qualcosa lo spinse ad alzarsi.
sbarre, dannate sbarre, pensò.
Colpì ossessivamente i pali metallici che lo bloccavano lacerandosi i pugni, la cella si stava riempiendo d’acqua, il soffitto si abbassava inesorabile con un sinistro suono stridente. Una confusione di pensieri lo invase culminando in un grido; selvaggio, animale.

- Sveglia giovanotto! – Esclamò Gerardo da sotto la folta barba.
- Brutti sogni eh? – domandò sorridendo un altro brigante seduto sulla cuccetta di fronte.
Giovanni annuì mentre il terrore della notte lo abbandonava strisciando. In un turbine di domande e dubbi si affacciò all’oblò.
- Eccoci qua, ancora pochi minuti e “lo” incontrerai – Disse Abelardo con fare reverenziale, poggiandogli una mano sulla spalla e tendendo il dito tozzo verso il paesaggio.
Passannante, ancora intorpidito dalla mezz’ora scarsa di sonno rimase silenzioso a fissare i boschi, laggiù da qualche parte nella fitta boscaglia all’interno del quartier generale scavato nella roccia, “Lui” attendeva.

21 Agosto 1870

L’”Usignolo” atterrò lentamente all’interno di un hangar metallico che subito richiuse la sua grossa bocca metallica lasciando all’esterno soltanto il suo intricato camuffamento.
Giovanni seguì Gerardo per i claustrofobici corridoi del quartier generale, emozionato all’idea dell’incontro.
Grossi omoni, non diversi dai pochi briganti che per ora aveva incontrato, lo squadravano da cima a fondo con sguardi curiosi e, a volte, sprezzanti.
Davanti a una porta Gerardo si fermò. – Adesso puoi andare da solo – Spiegò.
Giovanni degluttì, aprì la grossa porta intimorito per rimanere poi pietrificato davanti al grande tavolo al quale sedevano alcuni uomini.
- Vieni pure ragazzo – Tuonò un uomo barbuto con uno strano accento straniero.
Passannante annuì avanzando poi con passo incerto cercando di capire quali dei presenti fosse Crocco. Lo sguardo gli cadde su di una figura che non aveva notato, fiera e dotata di una nobiltà contadina si stagliava davanti a una feritoia, guardando fuori attraverso i rami posti a celare la fessura.
L’uomo si voltò di colpo penetrando Giovanni con uno sguardo selvaggio.
- Ben venuto – esordì. – Aspettavamo con trepidazione il tuo arrivo, o meglio la tua missiva. -
Passannante raggiunse gli uomini seduti al tavolo con passo sicuro ed estrasse dal taschino la piccola busta di carta logorata dal viaggio.
Lo sguardo fiammeggiante di Crocco cadde sulla lettera come se il mondo finisse oltre quel confine rettangolare, raggiunse con passo svelto il ragazzo tendendo la mano quasi volesse strappargli via tutto il braccio e divorarlo nella sua furia selvaggia.
- Grazie giovanotto – disse con no strano tono pacato, contrapposto alla sua immagine animale. – Adesso puoi andare, i miei uomini ti daranno del cibo e ti mostreranno dove sistemarti per il momento. –
Giovanni annuì cercando di dire qualcosa che rimase strozzato in gola.
Si allontanò con fare reverenziale sconvolto dal contatto con una personalità tanto potente, un trascinatore, un uomo in grado di infiammare gli animi e i cuori delle masse, di portarli in battaglia verso morte certa senza alcun ripensamento.
Chiedendo la porta Giovanni si sentì stordito dall’incontro, fece un passo poi udì una voce tuonante alle sue spalle

“Diciassette galli canteranno un solo motto”.


Passarono pochi secondi, poi un grido di guerra tuonò dalla stanza vibrando per le pareti, raggiungendo ogni orecchio all’interno dell’edificio.

- Uomini! – Sbraitò la voce.
- Armate le fortezze volanti! Andiamo in battaglia! -
Ultima modifica di leobulero il lunedì 28 maggio 2007, 21:50, modificato 1 volta in totale.
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Messaggioda X » domenica 27 maggio 2007, 23:20

Bene bene bene, complimenti anche a Leo per la sua rapida benché complessa risposta! Il mondo alternativo del 1870 comincia a prendere consistenza :wink:

Alcune segnalazioni sparse:

1. Ottima l'idea della "Fortezza Volante" (che richiama molto il ragazzo del futuro di Miyazaki :wink: ), ma personalmente mi terrei questa idea per l'assalto a Roma. Trovo infatti inadeguato pattugliare i boschi lucani con una "Fortezza": molto meglio un pallone-sentinella, più agile, e meno costoso. Ridurrei quindi anche il numero dei passeggeri: un manovratore (o timoniere), un addetto alla caldaia, i 4 briganti che si sono presentati a Passannante e lo stesso messaggero.

2. Ottima anche l'idea del "Brucia-Re"! Mostra bene il cambio di rotta indotto nei briganti dalla frequentazione con i rivoluzionari :lol:

3. Abelardo non mi pare propriamente un nome lucano... Un Gerardo, Luciano, Donato, Tonino, Peppe, Cecco, etc. ce li vedrei meglio...

4. Il viaggio deve durare al massimo un'oretta, essendo il covo di Crocco (ovvero la località Ginestra, presso Ripacandida) distante solo poche decine di chilometri da Rionero. Passannante può comunque addormentarsi in volo, stordito dal torcibudella...

5. L'incontro con Crocco lo mostrerei in maniera diversa, continuando a seguire il punto di vista di Passannante: immaginiamo quale potesse essere il suo stato d'animo al cospetto del Generale dei briganti, ma toglierei quella riflessione di Crocco (sulla sua leggenda) che si sposa poco con la sua concretezza contadina. Inoltre, con Crocco potrebbe essere presente tutto il suo consiglio di guerra: i luogotenenti (essendo all'epoca Ninco Nanco e gli altri tutti morti, occorre inventarcene di nuovi) e soprattutto Bakunin.

6. Le date possono andare. Cambierei solo il messaggio in qualcosa tipo: Il gallo canterà il 17, a indicare che quel giorno le truppe di Garibaldi varcheranno il confine pontificio. Va quindi rivisto anche l'ordine di Crocco di armare le aeronavi. Qui l'esperto è Simone, ma credo che le fortezze volanti possano tenere una velocità di crociera di 15-20 nodi, così da coprire i circa 300 chilometri dal Vulture a Roma in una giornata lunga di volo (10-12 ore).

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Messaggioda leobulero » lunedì 28 maggio 2007, 1:35

Ho sistemato a grandi linee i punti che mi hai fatto notare, devo ancora finire per bene e controllare i punti, a giorni comunque edito il post precedente :wink:
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Messaggioda Abate » lunedì 28 maggio 2007, 12:48

Allora: buon pezzo ma la fortezza volante va sicuramente sistemata. passo al sodo:

L’architettura spicciola della mongolfiera da trasporto somigliava in qualche modo a quella di una rozza taverna, la grande sala metallica ospitava una ventina di persone, indaffarate ai tavolini a cimentarsi in partite di carte e sfide alcoliche, una tenda la divideva dalle cuccette, grezze e sporche, dove presto avrebbero passato la notte.

Un pallone aerostatico non è in grado di reggere una struttura come una specie di taverna in grado di ospitare venti persone e suppellettili. Troppo pesante e quindi poco funzionale. Io pensavo a una fortezza stile dirigibile o al più una sorta di vascello mantenuto in volo da aliche eliostazionarie sulla falsa riuga dell'albatross di Robur descritto da jules verne.

Nel caso del dirigibile allora vi potrebbe essere una gondola di propra, dove trovano sede la taverna e il ponte comando, collegata tramite una passerella pensile alla goldola di poppa dove trovano sede le cuccette, mentre all'interno dell'involucro principale in uno scomparto protetto da una centina metallica si troverebbe il "sistema di caldaie". Il sistema di caldaie è necessario poichè una sola , infatti, non sarebbe in grado di fornire la spinta necessaria per mantenere in volo la fortezza. Anch'io comunque opterei per un pallone sentinella più agile e meno dispendioso.

Nel caso si mantenesse l'idea del dirigibile o della fortezza io l'armerei con rastrelliere di moschetti a propulsione di vapore posizionate a tribordo e babordo manovrate da quattro briganti che indossano elmetti di cuoio sui quali sono stati fissati cannochiali. E' solo un idea, sia chiaro.
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Messaggioda Abate » domenica 3 giugno 2007, 0:57

CITTA’ DEL VATICANO

– Ci sono novità? – La voce del Pontefice, graffiata dal prolungato abuso di assenzio, non fece che innervosire ulteriormente il professor Nikolas August Otto, responsabile del laboratorio Pontificio di macchinologia.
– Il colpo che gli ha polverizzato buona parte della scatola cranica mi rende impossibile lo studio del suo sistema di induzione comportamentale! Col dovuto rispetto, vostra Santità, chi ha sparato avrebbe dovuto mirare più in basso…
– Stia attento a prendersi una tale licenza di linguaggio… o mi vedrò costretto ad utilizzare l’ultimo colpo della mia pistola – gli ringhiò contro PioIX. – La vede la mia tonaca?, è ancora imbrattata della materia cerebrale di quella diavoleria meccanizzata!
Il professor Otto rise tra i denti, stando bene attento a non farsi scorgere dal Pontefice, e allo stesso tempo azzardò:– Quello è olio lubrificante, non materia cerebrale. E poi non credo che voglia sprecare così il colpo destinato al Generale Garibaldi. – A quel punto lo scienziato incrociò lo sguardo gelido del Papa. – Tuttavia, fra i resti del cranio ho trovato qualcosa di interessante. – Detto questo gli mostrò il frammento bruciacchiato di una scheda perforata d’induzione comportamentale.
– GILGO I DLAFG? – lesse PioIX scrutando di sottecchi lo scienziato. – Non vi trovo alcun senso.
– Si tratta di un ordine primario criptato col sistema alfabetico della Carboneria – rispose il professore – e significa “cerca e trova”.
PioIX sospirò profondamente osservando il vasto laboratorio sotterraneo situato a trenta metri di profondità sotto l’altare Papale del Bernini. Il Pontefice si trovò così ad osservare un guazzabuglio di alambicchi, caldaie a vapore, condensatori di elettricità e decine di automi corazzati.
– Cosa ha scoperto sull’arto meccanico di Garibaldi?
– Ancora niente – fu la rapida risposta del professore. – Il nostro agente a Caprera mi tiene informato con dispacci settimanali, ma fino ad ora nessuna novità è emersa. – Il professor Otto posò le mani sul tavolo e serrando i pugni sibilò:– Sono fermamente convinto che quella gamba meccanica sia una sorta di congegno di comando grazie al quale Garibaldi controlla i suoi mille di metallo!
– E cosa mi dice dell’automa che secondo lei avrei danneggiato in modo irreparabile… – tagliò corto il Pontefice, gettando uno sguardo torvo al corpo inerme adagiato sopra al tavolo autoptico. – Forse la Carboneria ha acquisito importanti conoscenze nel campo della macchinologia?
Il professor Otto osservò i resti dell’automa. – Si tratta di un lavoro di livello buono ma non certo ottimo. Mi è stato detto che il giovane prelato zoppicava e mostrava una certa difficoltà nella padronanza del linguaggio: questo mi dice che i Carbonari sono ancora lontani dalla perfezione; lo dimostra il fatto che il loro agente segreto è stato scoperto. Tuttavia c’è qualcosa che mi preoccupa. – Il professore invitò il Pontefice ad avvicinarsi al tavolo. – Le vede queste schede perforate? Sono state prodotte utilizzando una fine pasta di caucciù e lino. E c’è solo un luogo dove le fabbricano ancora in questo modo: Parigi!
– Francesi! – tuonò PioIX. – Vorrei sapere cosa aspetta il vostro Kaiser a cancellare quel popolo dalla faccia della terra! Forse egli non sa che lo Stato Pontificio è sotto assedio? Diavolo sembra che il mondo intero si stia alleando per attaccarmi: Francesi, Garibaldini e quei contadini straccioni capitanati da Carmine Crocco!
Mostrando una proverbiale freddezza Prussiana, il professor Otto riprese ad armeggiare sui resti dell’automa carbonaro. – Non vi preoccupate Santità – affermò lo scienziato – chi di loro cercherà di entrare a Roma riceverà l’accoglienza che merita…
Ultima modifica di Abate il domenica 3 giugno 2007, 19:01, modificato 1 volta in totale.
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Messaggioda dixit » domenica 3 giugno 2007, 12:46

Pio IX o Pio XI? :D
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Messaggioda Abate » domenica 3 giugno 2007, 18:59

Oh era mezzanotte:-) correggo...
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Messaggioda Abate » lunedì 11 giugno 2007, 17:43

ISOLA DI CAPRERA
Ultima modifica di Abate il martedì 12 giugno 2007, 20:58, modificato 1 volta in totale.
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Messaggioda X » lunedì 11 giugno 2007, 20:56

Molto, molto bello, Abate. Però...

Le aeronavi, nelle mie intenzioni originarie, dovevano essere un'arma segreta dei briganti, il valore aggiunto delle legioni meridionali che avrebbero portato manforte a Garibaldi. Se Garibaldi ha già le sue aeronavi, allora Crocco e i suoi diventano di fatto inutili...

Da questo ulteriore capitolo, inoltre, si intuisce che la tecnologia aerea è già largamente diffuso. E questo rende tatticamente ancora più inutili le forze brigantesche...

Domanda: non si potrebbe, chessò, ridurre la diffusione di questa tecnologia, rendendo magari le aeronavi di Garibaldi dei trasporti aerei, ingombranti, goffi, e buoni solo per il trasporto truppe?

Una semplice proposta, eh... :wink:
X
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Messaggioda Abate » martedì 12 giugno 2007, 12:42

ISOLA DI CAPRERA

Mancavano dieci minuti a mezzanotte quando il telegrafo della base entrò improvvisamente in funzione. Il giovane operatore preposto al ricevimento dei dispacci avvertì subito il suo superiore il quale, senza perdere tempo, diede l’ordine alla guardia di turno di correre a chiamare il colonnello Pietro Malatesta, braccio destro del Generale Garibaldi, che in quel preciso istante si preparava per la notte.
Quando l’alto ufficiale entrò nella stanza del telegrafo, Arturo Fabris, responsabile del reparto comunicazioni, gli si fece incontro con aria trafelata.
– Una trasmissione dal Cambria – borbottò il dottore, incapace di celare l’emozione del momento.
Strappando il dispaccio dalle mani del Fabris, il colonnello si fece scuro in volto. Ma non appena iniziò a leggere quel documento un sorriso si fece strada tra le pieghe di una pelle erosa dal sole e dal vento.
O giovani ardenti d'italico ardore serbate il valore pel dì del pugnar!
Viva l'Italia indipendente, viva l'unione, la libertà!
Si trattava di un messaggio in codice. Quel breve stralcio di una vecchia canzone patriottica, diceva che l’incontro tra il Generale Garibaldi e l’emissario di NapoleoneIII era andato a buon fine.
– L’attesa è quindi terminata – sibilò il colonnello Malatesta, appallottolando il documento. – Al sorgere del nuovo giorno entreremo in battaglia!
Durante la notte la base si animò come non era mai accaduto prima. All’interno di un grande hangar che sorgeva ai lati di una larga pista d’atterraggio in terra battuta, i mastri falegnami al servizio delle truppe Garibaldine erano impegnati negli ultimi controlli alle aeronavi Anita, Piumass e Montevideo, le quali, insieme al Cambria, completavano la flotta aerea del Generale. In realtà le aeronavi erano fatiscenti strutture di legno e tela sorrette da involucri di tela rossa.
Sul lato opposto della base, invece, i Mille di metallo, gli automi Garibaldini punta di diamante dell’esercito del Generale, ricevevano gli ultimi controlli tecnici prima dell’imbarco.
Per tutta la notte il colonnello Malatesta corse da una parte all’altra della base, impartendo ordini a chiunque gli si parava dinanzi.
– Signore le caldaie sono in pressione – dichiarò l’ammiraglio Quaglini, pilota comandante dell’Anita, entrando nell’alloggio del colonnello. – Uomini, armi e vettovaglie sono stati stivati a bordo. Attendo solo l’ordine di togliere gli ormeggi!
– I mille di metallo? – chiese Malatesta, ricacciando nello stomaco un prorompente sbadiglio.
– Al sicuro sulle navi – rispose l’Ammiraglio. – Tuttavia a causa dell’ingente carico saremo facili bersagli per le cannoniere Pontificie.
Il colonnello si passò una mano fra l’ispida barba che gli induriva il volto. – Faccia in modo di tracciare una rotta sicura affinché il Cambria possa unirsi al convoglio senza correre inutili rischi.
In tutta risposta l’ammiraglio Quaglini batté i tacchi uscendo celermente dall’ufficio.
– Trasmetta al Generale il seguente messaggio – ruggì Malatesta in direzione di Arturo Fabris. – Le aquile lasciano il nido. Stop. Tra cielo e nuvole danzeranno col vento. Stop. Sulla spuma del mare incroceranno le loro ali. Stop.
A quel punto il Fabris si precipitò alla postazione telegrafica dove trasmise il dispaccio, non prima di averlo criptato utilizzando un'altra strofa di quella canzone.
Stringiamoci assieme, ci unisca un sol patto,
del dì del riscatto l'aurora spirò!
Viva l'Italia indipendente,
viva l'unione, la libertà!
Dopo aver riposato per una buona mezz’ora, il colonnello uscì dall’ufficio: l’ufficiale Garibaldino indossava una pesante giacca di pelle foderata con lana di pecora, elmetto di cuoio e occhialoni antivento.
Raggiunta la pista, vide le aeronavi fluttuare lente a pochi metri da terra.
Affascinato dall’imponente spiegamento di forze, il colonnello Pietro Malatesta si strinse nella giacca, scrutò il cielo una volta ancora e infine si avviò con passo deciso verso la scaletta d’imbarco dell’Anita…
Abate
 
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Messaggioda leobulero » mercoledì 13 giugno 2007, 21:27

bel pezzo :)
la quiete prima della tempesta... ci avviciniamo all'epilogo :D
leobulero
 
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Messaggioda Darkyo » martedì 17 luglio 2007, 22:25

DA QUALCHE PARTE SUL TIRRENO
NOTTE


L’uomo che si faceva chiamare Albert Friedemann si assicurò che la logora borsa da viaggio e il suo prezioso contenuto fossero ancora sotto il sedile, tra le sue gambe. Lo fece con scioltezza e naturalezza, senza dare nell’occhio.
Viaggiare per mare era il modo più veloce per spostarsi, ma anche il meno sicuro. Il vecchio piroscafo arrugginito, con lo stemma della Regia Marina Italiana dipinto grossolanamente su quello del Regno delle Due Sicilie, era salpato da Cipro all’alba e si era riempito di gente nei numerosi scali che aveva fatto durante il tragitto. A bordo, Friedemann aveva visto sfilare individui di ogni risma, soprattutto ladri che si aggiravano apparentemente alla ricerca di un posto per sedersi, ma che in verità esaminavano minuziosamente passeggeri e bagagli.
Fortunatamente, fino a quel momento, nessuno lo aveva puntato.
Con i capelli sfoltiti ad arte, i baffetti posticci poco curati e il vecchio pastrano impolverato che si avvolgeva addosso per difendersi dalla brezza notturna del Tirreno, Friedemann era riuscito a sviare l’attenzione da sé e dal suo bagaglio.
Adesso, però, il suo problema non era un comune ladruncolo.
La spia che lo seguiva era seduta sei file dietro di lui. Aveva in testa una bombetta nuova e lustra e inforcava dei piccoli occhialetti da lettura, con i quali si ostinava assurdamente a fingere di leggere il foglio sgualcito di giornale in cirillico che aveva in mano da ore.
Un dilettante, Friedemann lo aveva notato immediatamente.
Lo avevano avvisato che la sua missione era della massima importanza, doveva arrivare a Roma in tempo per un appuntamento che avrebbe cambiato le sorti della storia; si era quindi aspettato che qualcuno l’avrebbe seguito e forse avrebbe cercato di fermarlo, ma non avrebbe mai immaginato un individuo simile.
C’era qualcosa di strano.
- Ciao, tesoro, bella serata, eh?
Una ragazza dalla pelle bruna e i folti ricci neri, pettinati come andava di moda all’epoca, si era lanciata sulle ginocchia del vicino alla destra di Friedemann, un enorme omone rubizzo con un sigaro spento tra le labbra. La ragazza indossava un vestitino rosso troppo scollato per la serata e puzzava di vino di pessima qualità. Una puttana in cerca di qualche facoltoso cliente annoiato dal viaggio.
Uno scossone del piroscafo la fece sussultare tra le braccia dell’omone visibilmente imbarazzato da quella inaspettata apparizione.
- Stasera si balla! - disse la puttana, svegliando con la sua risata sgraziata il piccolo gruppetto di signore distinte che riposavano di fronte a Friedemann. Avevano faticato ad addormentarsi a causa del rollio del battello a vapore e così le lanciarono occhiatacce che, quando capirono il mestiere della ragazza, si rivolsero inorridite al prete mingherlino che sedeva poco più in là. Il religioso arrossì come un tramonto e in un amen affondò gli occhi nella Bibbia.
- Che avete da guardare? - strillò la ragazza alle signore che non si risparmiarono in commenti salaci mormorati a mezza voce.
Friedemann intanto aveva sfruttato il breve trambusto per voltarsi a osservare la spia con la bombetta. Che si era alzato dal suo posto.
- Il viaggio è ancora lungo, tesoro. E io ho una cabina calda e accogliente… - stava dicendo la ragazza, accarezzando l’omone incapace di gestire la situazione.
- Ecco, io… - borbottò.
Gli eventi stavano precipitando, il suo intuito glielo diceva, ma Friedemann si costrinse a mantenere la calma. Per prima cosa cambiò la propria opinione sull’uomo in bombetta: era uno in gamba, era stato più veloce di lui a sfruttare l’apparizione della puttana per volgerla a suo vantaggio. Adesso era svanito nel nulla e chissà quando e dove sarebbe riapparso…
Improvvisamente capì: erano in due. L’uomo in bombetta doveva attirare l’attenzione, mentre il suo complice poteva avvicinarsi per ucciderlo: tutti i passeggeri dormivano e quei pochi che si erano destati a causa della puttana in rosso ormai avevano perso interesse alla scena e cercavano di riaddormentarsi. Una stilettata nel fianco o nel petto e nessuno si sarebbe accorto di niente.
- Offrimi almeno da bere! – strillò la ragazza.
Friedemann le prese il polso con forza, mentre con l’altra mano afferrò saldamente la borsa da viaggio.
- Ehi, mi fai male! – reagì lei.
- Andiamo. Ti io offro da bere.
Trascinò la puttana lontano dal ponte e uscirono all’aperto, sotto il cielo nero e senza stelle. Faceva più freddo e sentì la pelle della ragazza rabbrividire.
- Il bar non è da questa parte.
- Sai, mi è venuta voglia di vedere prima la tua cabina.
La ragazza si accontentò della risposta e lo guidò verso la zona delle cabine. Friedemann la osservò con più attenzione e si accorse che barcollava, ma non perché ubriaca, nonostante il suo odore dicesse il contrario, ma perché la gamba sinistra era più corta della destra.
Probabilmente aveva una gamba finta.
Reprimendo una smorfia di disgusto, la seguì fino alla porta della cabina.
- Devo trovare la chiave. - disse lei, trafficando nella borsetta.
Friedemann udì i passi alle sue spalle.
Si buttò addosso alla puttana, sbattendola contro la porta ancora chiusa della cabina; lei cercò di divincolarsi, ma lui la tenne ferma con il suo peso. Immerse il viso tra i ricci scuri e sentì il suo odore, un buon odore, peccato per quella gamba di acciaio… Mentre fingeva di baciarla sul collo, vincendo la repulsione, allungò una mano per toccarle il culo. Almeno quello era vero. E sodo.
L’uomo con la bombetta apparve alle sue spalle.
Senza fare il minimo rumore estrasse una pistola dal bavero spiegazzato della giacca… o almeno ci provò: con un calcio ben assestato Friedemann fece volare via l’arma fuori bordo, nel buio ribollente del mare. Gli prese il braccio e glielo torse dietro la schiena. Lo spinse verso il parapetto, la testa schiacciata contro la balaustra di ferro screpolato.
- Chi sei? - gridò per sovrastare il rumore delle pale del battello. - Chi ti manda?
L’uomo non rispose.
Durante la colluttazione aveva perso gli occhiali e sembrava stesse cercando di mettere qualcosa a fuoco, lontano all’orizzonte, sebbene l’orizzonte non si vedesse. Sorrideva, lo sguardo perso nelle tenebre attorno alla nave.
Friedemann serrò la presa e girò il braccio, fino a quando non lo sentì spezzarsi con un rumore secco.
Un automa, un fottuto automa.
E allora finalmente capì.
Fu rapidissimo a impugnare la pistola usando la molla a pressione che aveva nascosta nella manica del pastrano, ma non abbastanza da poterla puntare contro la vera spia.
La fredda lama di metallo posata sulla sua gola lo paralizzò come il morso di un serpente.
- Herr Friedemann. – disse la ragazza in rosso in un tedesco perfetto. – Incantata di fare la sua conoscenza.
Darkyo
 
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