«Se sorgesse una società del demonio, che combattesse despoti e preti, mi arruolerei nelle sue file»
( Giuseppe Garibaldi)
CITTA’ DEL VATICANO
4 maggio 1870
Nella fuga disperata lungo il corridoio che conduceva all’esterno della Basilica, il giovane prelato non prestò attenzione a quella piccola imperfezione nel marmo, invisibile ad occhio nudo, ma sufficiente per farlo cadere a terra.
Per alcuni istanti la vista gli si annebbiò ma subito dopo l’istinto di sopravvivenza di un uomo braccato lo ricondusse alla dura realtà. Spinto da nuova forza si alzò di scatto ma gli omuncoli pneumatici della gendarmeria palatina, raffinati prodotti dei sapienti artigiani macchinologici vaticani, che tra sbuffi di vapore e cigolii meccanici si erano lanciati al suo inseguimento, gli piombarono addosso immobilizzandolo all’istante.
– Padre Mantovani…
Una gelida voce giunse dal fondo della navata centrale avvolgendo statue, colonne torcili e affreschi millenari. Apparteneva a PioIX, il Pontefice. Nell’udirla il giovane prelato si rese conto che era giunto per lui il momento di affrontare un destino inevitabile. Vistosi spacciato cercò vanamente di divincolarsi, ma le articolazione meccaniche degli automi entrarono in tensione bloccandolo.
Il Pontefice gli si avvicinò e come se nulla fosse si mise a canticchiare un motivetto risorgimentale. – Piuttosto che languir per lunghi affanni, è meglio di morir sul fior degli anni! – A quel punto estrasse da sotto la tunica una pistola di legno di noce e acciaio, e senza alcun ripensamento fece fuoco. Il cranio di Padre Mantovani esplose in un’onda di materia cerebrale che finì per imbrattare i volti inespressivi dei gendarmi meccanici. Disgustato, PioIX si chinò sul cadavere strappando la pergamena ingiallita che il carbonaro stringeva ancora nella mano destra contratta in un ultimo spasmo di vita.
– Cesare de Horatiis – sibilò il Pontefice riponendo l’arma sotto le vesti – credevi davvero di uscire vivo da qui?
TORINO
5 maggio 1870
La coupé Brumm Ansaldo&c. del Generale Garibaldi (una carrozza alquanto bizzarra la cui forza motrice non era generata da una quadriglia di cavalli ma da una sfera di Eliogabalo, ultima meraviglia della macchinologia a vapore, che per mezzo della sua rapida rotazione scaricava energia cinetica sugli assi delle ruote spingendo la vettura a discreta velocità) entrò nel parco di villa Tesoreria, aggirò la fontana di marmo bianco illuminata da decine di fiaccole e si arrestò dinanzi all’ingresso principale di quella che un tempo fu sede della tesoreria Sabauda. Non appena il vapore acqueo dalla caldaia a circolazione forzata montata sul retro della carrozza si disperse nella notte, Pionono (l’automa personale del Generale) saltò a terra. Accertata l’assenza di pericoli tramite l’emissione di un lieve segnale acustico, Giuseppe Garibaldi uscì allo scoperto e con movenze incerte (il sistema di cinghie e pulegge della protesi idraulica della sua gamba destra, mutilata anni prima sull’Aspromonte, necessitava ancora delle necessarie regolazioni) andò incontro all’uomo che lo aspettava trepidante sulla porta.
– Nino, amico mio! – esordì Garibaldi allargando le braccia.
– Felice di vederla Generale – rispose il senatore Girolamo Bixio, l’amico fedele sin dai tempi della seconda guerra d’indipendenza. – L’emissario giunto da Parigi la sta aspettando.
– Che tipo è? – chiese Garibaldi.
– E’ Francese… – tagliò corto Nino Bixio invitando il suo leggendario Comandante a seguirlo.
– Tu bada alla carrozza – disse Garibaldi, rivolgendosi al suo automa.
– Obbedisco! – rispose prestamente Pionono, utilizzando la sola parola umana elaborata nelle sue schede perforate.
– Eccovi finalmente! – protestò il comandante della Guardia Imperiale di NapoleoneIII, Maresciallo Charles Denis Bourbaki, nell’accogliere il Generale. – Sono ore che aspetto!
Giuseppe Garibaldi si sfilò il tabarro e lo porse al senatore Bixio. – Dopo il decollo dall’eliodromo di Caprera, il Cambria ha trovato brutto tempo fino alle coste della Liguria – raccontò il Generale – e se sono qui, sano e salvo, lo devo soltanto ai miei ufficiali trasvolatori.
Per nulla interessato alle sorti dell’aeronave personale di Garibaldi, il Maresciallo Bourbaki tracannò l’ennesimo calice di vino per poi asciugarsi la bocca con la manica della sua uniforme piena zeppa di medaglie e coccarde multicolore.
– Notizie di Crocco e della sua masnada di indipendentisti?
– Marciano da giorni sui versanti orientali dell’Appennino meridionale diretti a Roma – rispose Garibaldi avvicinandosi alla carta topografica del regno appesa alla parete est del salone.
– Ne è sicuro?– lo incalzò il Maresciallo.
– I miei automi vedetta cablati sulla rete pantelegrafica trasmettono immagini giornaliere alla centrale di Caprera – e posando una mano sulla carta aggiunse:– Crocco non sa che osservo ogni suo movimento…
– Apprezzo chi dimostra una fiducia incondizionata nella tecnologia, del resto mi ritengo illuminista convinto – replicò il Maresciallo Bourbaki, evitando accuratamente di mascherare il sarcasmo celato nelle sue parole – ma a Parigi chiedono fatti e non belle parole lanciate nel vento. Il nostro aiuto nel portare a termine la sua visione di uno stato unitario esige da parte sua una completa collaborazione. I mille automi devono entrare al più presto in azione; la guerra ai Prussiani necessita della vostra scienza macchinologica. Quindi, Generale Giuseppe Garibaldi, lei mi deve dire se i suoi scienziati sono in grado di fornire alla Francia le armi per affrontare gli eserciti del Kaiser!
Mostrando un apprezzabile controllo della situazione, Giuseppe Garibaldi chiese gentilmente al senatore Bixio di procurargli una bottiglia di acquavite e qualche sigaro: l’incontro con l’irritante ufficiale francese si sarebbe protratto per tutta la notte.