da Logos » mercoledì 17 marzo 2010, 14:55
Io ben conosco le riflessioni di Marco che mi affascinano e mi incuriosiscono, in lui vi è un'indagine ontologica del reale nettamente più profonda di quella che costitisce il mio punto di osservazione del reale.
Marco si interroga sulla creazione dell'esistente, dell'universo, dell'essere umano e sulle figure che hanno contribuito a questa creazione, indagandone il ruolo, le intenzioni, la malvagità dell'uno e la nascondità (il dio nascosto del Cusano) dell'altro. Lui cerca di conoscere e di interagire con ciò che emerge da questa indagine, il suo non è solo un intento epistemologico ma anche morale, etico, nel senso che un'azione deve essere data dalla conoscenza (un po' socraticamente).
Io mi fermo ad un livello precedente, io non indago chi ha creato questa situazione di fatto, io mi limito solo ad osservare la singola, limitata, finita, quotidiana esistenza umana, il vivere del singolo soggetto di fronte all'esistente. L'esistente resta inspiegato e inspiegabile, ma è un fatto con cui ci si confronta. E il risultato è la costante e continua assurdità che ci avvolge. L'assenza di un senso a cui rimandare la propria esistenza e le proprie azioni.
Certo, forse Marco risponderebbe che questo senso si trova nell'indagare l'ontologia del reale, può darsi... ma ciò che conta è che l'uomo nel suo essere agente e vivente non ha quel (presunto) senso ulteriore, non lo ha soprattutto come risultato di un'indagine ma al massimo può crearselo, viverselo, crederlo vero in base ad una atto di fede, ma così facendo non fa altro che mascherare la verità in cui è immerso, ovvero l'assurdità del reale con un senso ulteriore, a further meaning, che è solo una auto cotruzione ingannatoria.
A me interessa l'uomo nel suo darsi quotidiano alla vita, e io sono connettivista perchè il connettvismo indaga l'uomo nel suo darsi emozionale alla vita e al futuro, dove il futuro è un baratro di incertezze.
Alex