Sezione π²: estensione del dominio della lotta

di X, 01/11/2007

Alcune riflessioni sul romanzo premio Urania 2006. Considerazioni sparse sulla fantascienza, la politica e l'universo, dalla frontiera del connettivismo.

Tutto questo romanzo è un’operazione post mortem. Anche se la prima parola risale al dicembre 2005, lo scenario decadente e notturno in cui il tenente Briganti muoveva i primi passi non era in realtà del tutto inedito.
A cavallo tra il 2001 e il 2002, avevo provato a dare forma a un’idea che all’epoca mi ronzava per la testa, ma dopo 200 e passa cartelle ero stato costretto a riconoscere i miei limiti nella gestione della trama e dei personaggi. Forse non era il momento giusto; di sicuro dovevo ancora maturare la mia confidenza con quelli che Stephen King chiama “gli attrezzi del mestiere”.

Ammettere una sconfitta non è mai piacevole, specie se la partita ti è costata tempo e fatica. Non tutto, per fortuna, era da buttare via. Ne ebbi conferma nell’estate del 2005, quando decisi di riabilitare l’ambientazione del romanzo abortito riproponendola per il progetto di una miniserie a fumetti. Così, mentre Pi-Quadro prendeva man mano forma per la Cagliostro ePress grazie a Giorgio Messina, mi ritrovai a ripercorrere le strade di un mondo che credevo di avere abbandonato per sempre.
È stato un po’ come tornare nei luoghi della propria infanzia: improvvisamente si riconoscono dettagli che credevamo rimossi, ma allo stesso tempo ci si accorge che i volti intorno a noi non sono più gli stessi di una volta. Il contrasto tra familiarità e alienità genera una frizione emotiva che lascia un po’ disorientati, e allora capisci che è il momento di ricominciare daccapo. Il mondo di Pi-Quadro aveva ancora troppi risvolti perché l’esplorazione potesse considerarsi esaurita e fu così che maturai il proposito di dedicarmi a un’opera di vasto respiro, come ha la pretesa di essere Sezione π2, il romanzo.
Avevo appena concluso una raccolta in volume delle mie storie brevi (l’antologia Revenant – Storie di ritorni e di ritornanti sarebbe poi uscita nella primavera del 2006 per Ferrara Edizioni, e mi avrebbe riservato una buona dose di liete sorprese) e credevo che fosse giunto il momento di testare la mia tenuta sulla lunga distanza. Non credo che scrivere un romanzo sia più impegnativo che scrivere un racconto, di sicuro pone una serie di difficoltà e problematiche di altra natura. E altrettanto certamente offre anche delle potenzialità che il racconto riesce a esprimere solo nelle mani di un maestro: di conseguenza, per quelli come me il romanzo si configura come una sorta di ultima spiaggia.

Personalmente, covo un interesse maniacale nella scelta e nella costruzione degli sfondi. Sono affascinato in maniera particolare dall’analisi dei possibili sviluppi ambientali, economici e sociali che ci riserva la Storia. Allo stesso tempo sono convinto che da tempo abbiamo ormai superato una soglia critica per cui un ruolo sempre più decisivo sarà giocato nei prossimi anni dalla tecnologia. Il che è un po’ la consapevolezza che si nasconde dietro la sensibilità nota come connettivismo, che da qualche anno si sta facendo largo nell’underground italiano (fantascientifico e non solo).
Partendo da queste premesse, ricostruire la genesi di Sezione π2 non è un compito particolarmente complesso, anche se le riscritture e i rimaneggiamenti ne hanno condizionato lo svolgimento non-lineare. La Napoli che partecipa dell’indagine di Briganti è quasi del tutto figlia della mia fantasia, con tutte le inesattezze del caso. Pur essendo cresciuto a meno di cento chilometri di distanza, non ho mai avuto occasione di sviluppare il mio scarso livello di conoscenza della città; ma ho come il sospetto che ogni agglomerato sufficientemente denso di storia e di umanità sia caratterizzato da un suo spirito, un genius loci che in assenza di scudi demografici o fisici opportuni finisce per imporsi anche sul territorio circostante. I problemi di Napoli sono i problemi della Campania e di una vasta parte del Mezzogiorno. Ed è per questo che credo di avere avuto modo di acquisire indirettamente esperienza delle sue peculiarità, vivendole nel contesto allo stesso tempo più circoscritto (per portata) e più disperso (geograficamente) della provincia.
In ogni caso, gli studi, il lavoro e qualche viaggio mi hanno permesso di conoscere altre grandi città, e non penso di fare torto a nessuno se affermo di avere riversato nella mia ricostruzione di Napoli esperienze compiute altrove. Dopotutto, le grandi città si ritrovano tutte a condividere un comune bagaglio di problemi, che vanno dal degrado delle periferie al sovraffollamento delle zone popolari, dall’inadeguatezza dei servizi al traffico, per arrivare infine all’onnipresente piaga dell’inquinamento. Nel caso di Napoli, la sua storia e l’attualità imponevano un occhio di riguardo per la criminalità organizzata e l’emergenza rifiuti.

È in questa prospettiva che vanno lette le losche macchinazioni che muovono, in maniera occulta e sotterranea, la trama del romanzo e l’idea di resuscitare il kipple, forse la più inquietante delle invenzioni di Philip K. Dick purtroppo tagliata fuori – magari per prudenza – nel passaggio da Do Androids Dream of Electric Sheep? a Blade Runner. Nel libro immagino di collocare gli eventi esattamente dieci anni nel futuro di un’ipotetica Singolarità Tecnologica, che è un’eco un po’ attenuata di quella rivoluzione tecnologica e culturale da fuochi d’artificio concettualizzata da Vernor Vinge (autore di opere seminali nella fantascienza degli anni Novanta, come A Fire Upon the Deep). In effetti non abbiamo avuto quella proliferazione di intelligenze artificiali ipotizzata dallo scrittore americano e ripresa nell’immaginario transumanista come pure da altri autori (Ken MacLeod e Charles Stross su tutti), ma una più morbida convergenza nelle linee di sviluppo di nanotecnologie, genetica e robotica ha comunque prodotto uno stravolgimento nelle consuetudini di questo mondo. Si è infatti trattato di un evento capace di relegare il passato (anche recente) tra le nebbie di un tempo preistorico.
Nel 2059 abbiamo processori quantici, innesti di memoria a superconduzione, protesi cibernetiche e interfacce olografiche. Dispositivi nanometrici vengono disciolti in circolo e usati per amplificare i sensi e proiettare un’estensione del dominio della coscienza. Ma se non sono più tecnologie esclusive, non possono ancora dirsi popolari. Certo, il paesaggio profondamente informatizzato è un’estrapolazione del nostro mondo attuale; tuttavia la sperequazione tra le fasce sociali, così come pure il divario tra il Nord e il Sud del mondo, si è amplificata. Dalla differente sensibilità e dal diverso livello di accesso alle tecnologie sono sorti diversi approcci in reazione alla Singolarità.

Briganti, il protagonista, è un agente psicografico della Pi-Quadro, un innovativo corpo di polizia che, proprio in virtù dei nuovi strumenti concessi dalla ricerca neuro-elettronica, sfrutta nelle indagini sui casi di omicidio la prerogativa di passare allo scanner le memorie recenti delle vittime. Incaricato di far luce sull’assassinio del Commissario Salvatore Di Cesare, suo superiore nonché fondatore della Sezione Investigativa Speciale di Polizia Psicografica di Napoli (abbreviata in Pi-Quadro tanto nel titolo tanto del fumetto quanto del romanzo), nel corso delle sue indagini Briganti finirà per riportare a galla un passato che credeva definitivamente sepolto e che lo riguarda in prima persona.
Dall’universale al privato, come si vede. Perché viviamo in un mondo ormai connesso a tal punto che le dinamiche individuali e collettive si influenzano a vicenda, sebbene i modelli siano tanto complessi da risultare di ardua decifrabilità.
L’inchiesta, è il caso di dirlo, è un pretesto per dipingere questo mondo del dopodomani. Malgrado tutti i progressi, i rivolgimenti comportati dalla Singolarità, le scoperte e le conquiste, la mediocrità connaturata alle pulsioni di base dell’essere umano non è stata ancora estirpata. Pertanto corruzione, connivenze politiche, fanatismo, sopraffazione e soprusi sono ancora tristemente all’ordine del giorno. Le organizzazioni criminali non si accontentano di spartirsi i traffici del sottobosco urbano ma infiltrano le istituzioni fino ai livelli più alti. La demagogia monopolizza il dibattito, l’opinione pubblica è anestetizzata dai mass media, l’opposizione politica ridotta ai minimi termini. In questo scenario, la scalata di un imprenditore di successo alla più importante poltrona della nazione non ha nulla di straordinario, anche in assenza di un vero programma politico. Niente di nuovo sotto il sole, insomma.

Un discorso a parte merita il kipple. La quintessenza della dissoluzione, come emerge dall’opera di Dick, ha un ruolo ben preciso nell’economia del romanzo, che non è limitato alla trasfigurazione dantesca dell’emergenza che ci troviamo a vivere oggi, a Napoli e in tutta la Campania, e che solo le autorità possono considerare conclusa. Con la metafora rappresentata da questa melma viva (“materializzazione di un incubo fatto di entropia e istinto predante”, secondo una delle definizioni che ne do nel romanzo) ho voluto imbastire un discorso più ampio che coinvolge il degrado, l’inquinamento e l’impatto ambientale prodotto inconsapevolmente (e incoscientemente) dall’uomo. I media non fanno altro che attaccare l’America sul protocollo di Kyoto, ma poi non si fa nulla di davvero concreto per sensibilizzare la gente a una disciplina ecocompatibile. Se i progetti per lo sviluppo delle fonti rinnovabili s’imbattono nell’ostilità delle comunità locali, se l’indifferenza del cittadino comune spesso sconfina in una chiusura oscurantista, se un processo fondamentalmente privo di grosse complicazioni come la raccolta differenziata incontra oggigiorno delle difficoltà attuative, significa che bisogna rivedere l’intera condotta morale dell’Occidente. E se la procedura fallisce a un livello tanto basso com’è quello della quotidianità, inutile anche solo parlare di ricerca e sviluppo. Inutile diventa pure pensare a un domani, quando oggi ci stiamo prodigando in maniera così disinvolta a distruggerne le basi.

Ho cominciato a scrivere questo romanzo nel dicembre 2005. Mentre scrivo queste parole è l’agosto 2007 e la situazione sembra essere cambiata ben poco. Anzi, se si considera l’emergenza rifiuti, si è perfino aggravata. Questo mio sproloquio potrà suonare eccessivamente moraleggiante. Personalmente non credo nel ruolo didascalico della letteratura, ma sulle sue potenzialità di sensibilizzazione sarei disposto a mettere la mano sul fuoco, specie se si parla di fantascienza.
Le indagini di Briganti, a lettura conclusa, vi potranno sembrare espressione di una coscienza politicamente esplicita e forse anche un po’ arrembante. È un romanzo nato così, sulla carica emotiva del momento. Pur avendone migliorato innumerevoli aspetti, i successivi rimaneggiamenti hanno potuto ben poco per mitigare questa attitudine e magari stemperare le punte più accese.
In primo luogo è su questo versante che Sezione π2 manifesta la sua affinità più esplicita con l’ondata montante del future noir, una corrente che sta venendo alla ribalta nella letteratura di genere fondendo le istanze di quelli che forse sono i due generi popolari per eccellenza. Fin dagli albori del cyberpunk e grazie agli insegnamenti di William Gibson, i meccanismi del thriller e l’immaginario futuristico e visionario si sono attestati come ingredienti fondamentali di un numero crescente di opere, tra cui risaltano le imprese di K.W. Jeter, Michael Marshall Smith e, in tempi più recenti, Richard K. Morgan con la sua vibrante voce di dissenso. Numerose sono le analogie con tutti questi autori, ma una comune sensibilità di fondo è riscontrabile anche con il romanzo-rivelazione di Dario Tonani, Infect@, che probabilmente in apertura di questo 2007 ha inaugurato una nuova stagione nella fantascienza italiana. I romanzi di tutti gli autori citati si caratterizzano per una lucida analisi sociologica e non trascurano i rapporti con quel sistema mitologico e iconografico con cui la fantascienza ha contribuito all’immaginario popolare durante tutto il corso del Novecento. Tutti si sono distinti, con le dovute differenze di approccio, nell’indagine del nostro domani retroattivamente, a partire dalle radici che affondano nel nostro presente, i presupposti che insomma stiamo gettando per gli sviluppi (evolutivi o involutivi) che verranno.

In un recente articolo pubblicato sulle pagine elettroniche di Delos SF (Nuove prospettive per la fantascienza del futuro, 2006) rivolgevo agli appassionati di fantascienza, scrittori e lettori, un appello a riappropriarsi delle rotte del futuro. Sono sempre più convinto che sia imperativo per tutti noi cercare di spingere lo sguardo in profondità nella nebbia probabilistica del domani. Perseverare, nel genere come nella vita, in schemi ormai vetusti e inadeguati non salverà le vostre anime, servirà solo a condannare le prossime generazioni per le colpe e la negligenza di quelle che le hanno precedute. Fallite le vecchie proposte, occorre pensare a nuove soluzioni per i nostri problemi. Sia quelli nuovi, sia quelli che si sono protratti fino a noi nel tempo; si tratti di politiche sociali, di coscienza civile o di responsabilità ambientale.
È tempo perché visioni ed esperienze anche divergenti trovino un terreno comune su cui costruire una comune linea d’azione, in cui ciascuno faccia la propria parte. Prima che il mondo ceda alle armate striscianti della disgregazione.

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