vorrei con questo nuovo post inaugurare un dibattito che forse potrà diventare una rubrica.
Da tempo sul blog di X è in corso una discussione su cosa sia la Fantascienza.
Innumerevoli sono stati gli interventi e le riflessioni fatte su un tema che non è certo nuovo ma che appare sempre verde (forse proprio perchè la risposta a questa domanda sembra essere ben lungi dall'essere trovata).
Io vorrei lanciare qui una riflessione non tanto su questo tema, nè (immodestamente) sul mio modo di considerare la fantascienza, quanto piuttosto su un argomento correlato.
Ne avevo già parlato anche se in modalità ancora embrionali in un articolo apparso su Corriere Fantascienza (http://www.fantascienza.com/magazine/notizie/8069/)
Inauguro qui per la prima volta il termine meta-fantascienza.
Il prefisso meta deriva dalla lingua greca ed ha avuto fortuna con la filosofia di Aristotele. Questo termine puo' essere tradotto come ciò chesta oltre
Il filosofo di stagira lo utilizza parlando della meta-fisica, ossia dopo aver indagato le cause e i principi primi della realtà che lo circonda immediatamente (la fisica appunto) Aristotele si occupa di cio' che sta oltre, la meta-fisica, che non deve essere intesa come qualcosa d'altro, di completamente avulso e staccato ma come il passo ulteriore, successivo.
Il termine ben si presta ad indicare ciò che con fatica cercherò di spiegare nelle righe successive.
Sebbene la fantascienza non abbia avuto ancora una connotazione e una definzione precisa e dettaglitata, è possibile trarre dall'insieme dei testi che vengono considerati tali alcune caratteristiche peculiari, direi (sempre con Aristotele) sostanziali e non accidentali.
Citandone alcuni si potrebbe ricordare: il tecnicismo, l'ambientazione nel futuro, l'intrattenimento, il potere predittivo e così via.
In generale noi consideriamo fantascienza un genere letterario che è tipicamente di cultura (oltre che di provenienza) anglosassone, americana in particolare.
Io credo che pero' alla base di quella che noi definiamo come fantascienza vi sia un moto creativo e pulsionale che si esplica secondo gli schemi mentali tipici della cultura industriale, tecnica e pragmatica degli USA e dell'UK.
Sono fermamente convinto però che lo stesso spirito creativo e pulsionale (su cui potremmo discutere) sia presente anche in autori che partecipano e condividono una cultura (nel senso antropologcamente piu' ampio) differente. Tale pulsionatà si esplica quindi, secondo modalità differenti e con sensibilità diverse.
Le opere che nascono in queste culture, in queste sensibilità diverse (e che quindi non hanno i tratti peculiari di quella che è oggettivamente riconosciuta come fantascienza) vengono catalogate e inserite in generi letterari differenti, a volte non vengono inserite addirittura in nessun genere e ci si accontenta di bollarle come semplicemente originali ed inclassificabili.
E se fosse solo un modo diverso di sfogare la pulsione che sta alla base della fantascienza? Un moto che si concretizza secondo canali e filtri differenti (non anglosassoni e non tecnicisti), canali che potremmo definire "umanistici"?
Un esempio di questo modo di scrivere dando vita a questa pulsione è secondo me Saramago.
Vi lascio brevemente la trama di Cecità:
In una città qualunque, di un Paese qualunque, un automobilista è fermo al semaforo, in attesa del verde, quando si accorge di perdere la vista. All'inizio pensa si tratti di un disturbo passeggero, ma non è così. Gli viene diagnosticata una malattia sconosciuta: un "mal bianco" che avvolge le vittime in un candore luminoso, simile a un mare di latte. Non si tratta di un caso isolato: è l'inizio di un'epidemia che colpisce progressivamente tutta la città e l'intero Paese. I ciechi vengono rinchiusi in un ex manicomio e costretti a vivere nel più totale abbrutimento da chi non è stato ancora contagiato.
Letto, questo libro ricorda in alcuni aspetti persino Ballard!!!!
L'altro autore è il giapponese Haruki Murakami di cui cito "La fine del mondo e il paese delle meraviglie".
Lo scrittore giapponese racconta una storia giocata su due mondi paralleli e incomunicanti. Il primo mondo descrive un'asettica città di oggi o del prossimo futuro, un anonimo concentrato di tecnologia siliconica, come è o sarà Tokyo; l'altro mondo è una piccola cittadina fortificata, pervasa da una strana atmosfera, dove gli abitanti sono separati dalle loro ombre e ciascuno è senza memoria. I protagonisti delle due storie, che si sviluppano a capitoli alternati, sono in realtà l'uno il riflesso dell'altro.
Questo suo lavoro, insieme a Dance Dance Dance e all'Uccello che girava le viti del mondo, puo' davvero cambiare il modo di vedere il mondo..

Sensibilità diverse per scrivere racconti che sono per me di meta-fantascienza, ossia di un genere letterario che non puo' essere considerato fantascienza (perchè ormai con questa parola si indica il tecnismo anglosassone) ma che è (l'assenza del condizionale è voluta) frutto delle medesime pulsioni creative.
Questo post lungo ma ancora incompleto è per lanciare un dibattito ed iniziare una raccolta (grazie al vostro ausilio) di autori e opere meta-fantascientifiche.
Attendo e vi ringrazio di aver letto sino a qui.

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