l'hobby del signor Zafsky
introduzione di Giovanni De Matteo
Luca Bonatesta è di sicuro tra gli autori più eclettici e interessanti della banda. La sua attività si propone come una continua ricerca, una caccia alla formula ideale che riassuma in sé l’impatto massimo dell’immagine con la soluzione ottimale dello stile.
Così capita che la sua prosa sia di volta in volta contratta, frammentaria, schizofrenica oppure composta, ma sempre funzionale alla storia narrata. La sua sensibilità deve molto ai germi di avanguardia seminati da William S. Burroughs, ma non di rado capita di imbattersi tra le sue righe di una luce che spiove obliqua, mettendo in mostra dettagli insospettati, nascosti appena sotto la superficie del mondo. Questa luce, con la sua componente di ombra crepuscolare, non può non richiamare l’opera poliedrica di Ray Bradbury.
Ma quella di Luca è una cultura che dalla letteratura invade anche i campi del fumetto e del cinema, come dimostra il racconto seguente. Nel quale l’autore spinge ai limiti estremi il suo sperimentalismo, pur senza indulgere nella comodità di trovate sensazionali. Al contrario, sottopone il ritmo della narrazione a una modulazione finalizzata alla costruzione del finale, che è una logica conseguenza dei dettagli seminati nel testo, impeccabile come ogni meccanismo a orologeria che si rispetti.
Dire di più comprometterebbe il gusto della lettura e non renderebbe merito alla bravura dello scrittore. Mi limito solo a richiamare l’affinità delle atmosfere con certo cinema indipendente americano, con la provincia profonda e satura di inquietudini di David Lynch, e la vicinanza espressiva alle formule dell’avant-pop portate all’estremo da Jonathan Lethem.