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Totalitarismi, ruoli di genere e maternità: uno sguardo alla narrativa distopica delle donne
di Linda De Santi

A partire dal rinnovato interesse per Il racconto dell'ancella, Linda De Santi traccia una riflessione circostanziata e puntuale sulle distopie contemporanee scritte nel solco di Margaret Atwood.


Da qualche tempo il panorama narrativo contemporaneo si è arricchito di distopie scritte da donne, soprattutto in seguito al successo della trasposizione televisiva di Il racconto dell’ancella. La narrativa fantascientifica e l’attenzione del pubblico si rivolgono oggi con crescente interesse ai temi dei diritti delle donne.
In realtà la narrativa distopica femminile non è un fenomeno recente: le donne scrivono distopie da decenni e già autrici come Ursula K. Le Guin, Octavia Butler, Angela Carter hanno affrontato i temi su cui oggi si sta concentrando l’attenzione di scrittrici e lettori. Tra questi troviamo i ruoli di genere e i loro vincoli, ma anche, più in generale, i temi della parità e dell’uguaglianza, e il timore che il percorso dell’umanità verso il loro pieno raggiungimento possa essere arrestato o addirittura invertito (“L’idea che la storia progredirà sempre è una fantasia”, ha detto Margaret Atwood in una recente intervista).
Su questo primo corpo di letteratura si basano anche le opere distopiche femministe più recenti, in cui, come da tradizione del genere, la lente della fantascienza viene usata per far risaltare alcune preoccupazioni che pervadono la contemporaneità. (Per approfondimenti sul genere distopico, si veda anche l’articolo di Salvatore Proietti Distopia, Andata e Ritorno.)

Che cos’è la distopia?
Partiamo dalle basi. Secondo l’Oxford English Dictionary, il termine distopia fu coniato nel 1868 dal filosofo J. S. Mill e si basa sul termine utopia, inteso come il luogo dove tutto è come dovrebbe essere. La distopia è stata a lungo considerata l'esatto opposto dell’utopia, ovvero un luogo dove tutto è spiacevole e indesiderabile.
In realtà, come ha osservato la stessa Atwood nel suo saggio In Other Worlds: SF and the Human Imagination (2011), più che il contrario dell’utopia, la distopia è piuttosto una sua parte integrante, l’altra faccia della stessa medaglia. Ogni società perfetta, anche la più equa, nasconde il suo lato distopico: per funzionare in maniera impeccabile, ha bisogno di eliminare ogni tipo di ribellione e, spesso, di individualità.
Ogni utopia contiene una distopia, ogni distopia contiene un’utopia” ha scritto Ursula K. Le Guin nel suo saggio No Time to Spare (2017). La stessa Le Guin ha anche delineato le “ambigue utopie”, che prospettano un approccio diverso rispetto a utopie chiuse e distopie (entrambe basate sul controllo dell’umanità), proprio per evitare il rischio intrinseco che ogni utopia possa mutarsi in distopia.
Sia l’utopia che la distopia nascono dall’insoddisfazione per il presente. Mentre l’utopia offre una “fuga” dall’infelicità presente rivolgendosi al passato (un’“età dell’oro” perduta per sempre) o a un luogo lontano nello spazio (un’isola paradisiaca), la distopia mostra uno scenario futuro, in cui troviamo situazioni terrificanti che si realizzeranno se l’umanità non interverrà nel presente per modificare il proprio destino.
Come genere letterario, la distopia si è diffusa tra il XX e il XXI secolo. Tra le prime opere di rilievo troviamo le narrazioni fantapolitiche antitotalitarie di inizio Novecento, come Il tallone di ferro (The Iron Heel, 1908) di Jack London e Il padrone del mondo (Lord of the World, 1907) di Robert Hugh Benson, che sembrano trarre ispirazione dalle visioni apocalittiche di H. G. Wells e M. P. Shiel; durante il secolo, poi, lo sviluppo massiccio dell’industrializzazione e della tecnologia portano allo sviluppo di un nuovo filone di narrativa distopica, di cui fanno parte opere come Il mondo nuovo (Brave New World, 1932) di Aldous Huxley, 1984 (1949) di George Orwell, Noi (Мы, 1921) di Evgenij Ivanovič Zamjatin (per citare alcuni dei più noti).
Solitamente l’avvenire descritto è caratterizzato da regimi oppressivi, da società in cui gli esseri umani sono privati della libertà e in cui la tecnologia è diventata un invadente mezzo di controllo. In alcuni di questi futuri, l’uomo si è anche evoluto in una sorta di “umano 2.0” grazie a tecnologia e scienza ed è potenziato da protesi artificiali, microchip, sensori, droghe o altri strumenti e sostanze (elementi tipici del postumanesimo). O ancora, da scenari in cui il pianeta è stato sconvolto da catastrofi globali, in cui governi e istituzioni sono caduti e gli umani si trovano in condizioni di precarietà e pericolo (caratteristici del genere postapocalittico).
In tempi più recenti, la narrativa distopica ha conosciuto un grande sviluppo, con decine di romanzi appartenenti a questo genere che hanno avuto una diffusione a livello globale e tra i più influenti ne troviamo molti scritti da donne, come Margaret Atwood e Naomi Alderman.
Negli ultimi decenni, pur non venendo meno ai suoi presupposti iniziali, il genere distopico è cambiato. Adesso non è più esclusivamente il mezzo letterario con cui si tenta di mettere in guardia l’umanità su elementi del presente che potrebbero sfociare in un futuro terribile. La distopia è diventata anche un modo per raccontare un presente diverso, per mostrare un altro punto di vista che abbraccia la possibilità di una liberazione individuale e generale, ribaltando ruoli e mettendo in discussione convinzioni e strutture sociali. Spesso senza neppure inventarsi un futuro ipotetico, ma rimanendo saldamente ancorato alla situazione socio-politica contemporanea: gli autori e le autrici sempre più spesso si limitano a modificare alcune coordinate del presente, affinché i punti di riferimento della realtà saltino ed emergano aspetti allarmanti già presenti in nuce nella nostra società.
In particolare, è proprio in quest’ultimo aspetto che le distopie scritte dalle donne hanno dato un grande contributo alle nuove mappe dell’inferno.

“Futuro presente” e ribellione: le caratteristiche delle distopie delle donne
Come già accennato, al pari di molta fantascienza contemporanea, anche le distopie scritte da donne incanalano in contesti futuristici la rabbia e le ansie del presente. Spesso lo fanno cambiando uno o più elementi del mondo attuale, per mostrare cosa accadrebbe se le cose fossero anche solo leggermente diverse da come sono.
In queste storie è più probabile trovare fatti vicini al presente e riferimenti storici precisi anziché gli elementi spiccatamente finzionali della distopia classica. Basti pensare a Il racconto dell’ancella (The Handmaid’s Tale, 1985): ogni cosa, a detta della stessa Atwood, è basata su fatti realmente accaduti. Atwood porta come esempio Ceaușescu in Romania, dove la politica costringeva le donne ad avere figli; oppure le Sumptuary Laws, le leggi emanate da Elisabetta I nel 1574, che avevano lo scopo di identificare le differenti classi sociali; e ancora la caccia alle streghe, il maccartismo, il divieto di alfabetizzazione degli schiavi.
A livello di struttura delle trame, ritroviamo somiglianze con la più antica narrativa femminista non di genere. Di solito c’è una protagonista femminile che si ribella alle autorità patriarcali, il cui potere, nel caso della fantascienza, deriva dalle società distopiche. Normalmente, almeno all’inizio, le protagoniste sono costrette (per sopravvivere) a sottomettersi e conformarsi alla società in cui vivono, cosa che le dota di una sorta di doppia coscienza divisa tra ciò che la società impone e la loro vera natura. È questo che mette in moto il meccanismo di ribellione e l’elaborazione di un piano d’azione.
Ad ogni modo, a distinguere i romanzi femministi del genere non è tanto la trama, ma il modo in cui gli elementi distopici vengono sviluppati, il fatto di dare voce alle donne in un mondo dominato da un’impostazione patriarcale. Una postilla importante da aggiungere è che raramente le distopie scritte da donne si concludono con la vittoria delle protagoniste: i finali sono, di solito, aperti e ambigui e lasciano al lettore la possibilità di immaginare l’esito che vuole.

Regimi oppressivi, ruoli di genere e maternità
I temi affrontati nelle distopie scritte da donne sono i più vari. Tra i più ricorrenti e centrali se ne trovano alcuni tipici del genere, come i regimi oppressivi (un esempio è The Hunger Games di Suzanne Collins), ma sono sempre più presenti e approfondite tematiche come la parità dei sessi, i ruoli di genere e la maternità/fertilità.
Su quest’ultimo, in particolare, si basano alcuni dei più grandi successi della distopia femminista degli ultimi tempi. Il più noto è Il racconto dell’ancella, vero e proprio emblema di questo filone letterario, ma si potrebbero citare molti esempi: I figli degli uomini (The Children of Men, 1992) di P. D. James, Orologi rossi (Red Clocks, 2018) di Leni Zumas, La casa futura del Dio vivente (Future Home of the Living God, 2017) di Louise Erdrich, Before She Sleeps (2018) di Bina Shah.
Centrali, in questi romanzi, sono la riproduzione e l’autonomia fisica delle donne. Di solito, a seguito di un calo drastico o un arresto delle nascite (le ragioni sono tra le più diverse: improvvisa sterilità maschile e/o femminile, catastrofi biologiche, necessità di incrementare la popolazione di un certo luogo…), il governo si arroga il diritto di decidere del corpo delle donne. Le costringe a dare alla luce bambini contro la loro volontà, si autoattribuisce il diritto di proprietà sui loro figli, decide con chi devono riprodursi. In generale, in questi romanzi si assiste alla reiterata violazione dei diritti riproduttivi, con ingiustizie di ogni genere che vengono perpetrate (dalle gravidanze forzate alla tutela degli embrioni prima che delle donne). Come già mostrato da Margaret Atwood, il potere di generare la vita è una “facoltà” femminile, e per questo viene temuto e soggiogato.
L’altro grande tema sono i ruoli di genere. In questi romanzi si trovano situazioni che mettono in evidenza lo stato attuale delle cose in ambiti diversi, in cui le strutture (economiche, sociali, politiche) sono configurate in modo da mantenere la donna in un ruolo subordinato agli uomini. In questo senso, però, le distopie scritte da donne sono ben lungi dal prescrivere soluzioni ideali. L’intento, solitamente, non è la prescrizione, ma la descrizione.
Nei casi in cui si ha un’effettiva “inversione” dei ruoli di genere, come per esempio in Ragazze elettriche (The Power, 2016) di Naomi Alderman, i risultati sono tutt’altro che “risolutivi” e meno che mai utopici. Alderman descrive una situazione in cui le donne hanno sviluppato la facoltà di trasmettere una scossa elettrica, ribaltando del tutto gli attuali rapporti di forza tra i generi e permettendo loro di risalire la scala sociale fino alle posizioni di vertice: lungi dal realizzare una società pacificata, si assiste invece al verificarsi di violenze, sottomissioni, stupri e guerre, a dimostrazione del fatto che un genere non è più adatto dell’altro per gestire il potere. L’idea secondo cui le donne saprebbero governare meglio il mondo perché più dolci e mansuete, dunque, si rivela errata e viziata da un pregiudizio di fondo. Anche sulle peculiarità caratteriali ritenute “innate” di uomini e donne, Alderman porta avanti una riflessione sottile e di grande impatto, che sembra allinearsi con ciò che Judith Butler descrive come “performatività di genere”, che afferma che il genere non è una costruzione sociale, ma un’identità istituita attraverso una ripetizione stilizzata di atti. La differenza tra uomini e donne non è basata su differenze biologiche, ma su come entrambi i sessi agiscono e sono costretti ad agire nella società, cosa che riafferma ulteriormente le loro identità.
Questo è esattamente ciò che Alderman suggerisce nel suo romanzo: in una società in cui all’improvviso le donne non sono più socializzate come custodi della casa e della famiglia, ma detengono la forza (prima fisica, con la capacità di dare la scossa; poi sociale e politica), gli uomini finiscono per essere considerati come un tempo venivano considerate loro. Un esempio lampante, nel romanzo, è quello del “supporto” maschile dell’assertiva presentatrice televisiva Kristen, Matt: un ragazzo giovane e bello, che all’interno dello show ha il solo scopo di supportare gli interventi di Kristen, gli unici che il pubblico consideri “di spessore” (mentre Matt non è che un elemento simpatico e gradevole da vedere).

Nel nome di Dio: Il racconto dell’ancella di Margaret Atwood
Il racconto dell’ancella è il primo romanzo distopico di Atwood. È uscito nel 1985 ed è stato da subito accostato a Nineteen Eighty-Four di Orwell (trattando anch’esso di un regime oppressivo retto sulla rigida divisione della società in classi sociali).
La vicenda è narrata attraverso la voce di Offred, “ancella” obbligata a prestare servizio presso la casa di uno dei più importanti commanders della Repubblica di Gilead. Attraverso le numerose digressioni di Offred, voce narrante della storia, scopriamo cosa è successo prima che lei diventasse un’ancella (si tratta di un raro caso in cui veniamo a conoscenza, in maniera dettagliata, di ciò che è intercorso tra il tempo presente e l’instaurarsi della realtà distopica): è stata privata del suo ruolo di moglie (in quanto sposata a un uomo divorziato), del suo lavoro, dei suoi averi e di sua figlia. Poi, essendo ancora fertile, è stata “educata” per diventare un’ancella. Il suo ruolo le impone di dare dei figli alle famiglie della classe dirigente, generandoli con i comandanti.
Lo stesso nome che le viene dato, Offred, non serve altro che a segnalare la sua appartenenza a un comandante: “of Fred”, cioè di Fred. Tutte le ancelle portano nomi come Ofglen, Ofwarren, Ofcharles e così via. A Gilead le persone osservano una rigida divisione in classi sociali. Le donne sono divise in Ancelle, Mogli (le consorti dei comandanti), Figlie (la prole femminile dei comandanti), Marthas (donne anziane che si occupano dei lavori domestici), Zie (le “tutrici” incaricate di educare le ancelle), Jezabeles (prostitute che “formalmente” non esistono).
All’interno della società di Gilead, l’interpretazione letterale della Bibbia ha un ruolo decisivo. È infatti grazie alla stretta osservanza dei precetti religiosi che si è costituito il nuovo regime e che viene perpetuata la divisione dei ruoli sociali in base al genere, ed è attraverso la ritualizzazione di alcuni passaggi della Bibbia che vengono legittimati i soprusi inflitti alle donne.
Si è detto che i finali delle distopie femminili sono quasi sempre aperti e ambigui: Il racconto dell’ancella ne è un esempio. Nel finale della vicenda, Offred viene caricata su un furgone che sembra appartenere a un movimento di resistenza, ma non ci sono notizie di lei dopo che sale sulla vettura.
Nell’appendice del romanzo, la narrazione è proiettata nel 2195, in occasione di un convegno che una comunità accademica tiene a molti anni di distanza dal crollo di Gilead. Nel finale vengono discusse le registrazioni su audiocassette di Offred sulla propria prigionia. Piexoto, il professore che le ha trascritte (che per vari motivi non sembra estraneo ai pregiudizi maschili), finisce per screditare il racconto di Offred: il risultato perpetra un’ulteriore violenza nei confronti della protagonista, con un pubblico che nel corso della conferenza sembra convincersi a ritenere inattendibile la testimonianza di Offred.

Rivoluzionare i generi: Ragazze elettriche di Naomi Alderman
Di tutt’altro tipo, invece, è il finale di Ragazze elettriche. La storia, che segue le vicende di quattro protagonisti (Roxy, Allie, Marta e Tunde, tre donne e un uomo), è ambientata in un futuro che potrebbe tranquillamente essere il nostro presente. Poco a poco le quattro storie si interconnettono tra loro, sullo sfondo di una situazione mondiale in cui le donne, grazie allo sviluppo della scossa, non solo sono diventate in grado di difendersi da violenze e soprusi, ma iniziano a commetterne a loro volta.
La storia vera e propria è incorniciata dallo scambio di lettere tra un giovane scrittore (Neil) e il suo mentore donna (Naomi). Nel contesto temporale della cornice, il mondo è dominato dalle donne, che detengono il potere su qualunque cosa. Neil ha però scoperto che in era pre-Cataclisma erano gli uomini a occupare le posizioni di comando e le donne, non ancora provviste della loro nuova facoltà, erano relegate in un ruolo subalterno. Naomi è condiscendente con Neil, ma è evidente che considera le idee dell’allievo alla stregua di fantasticherie puerili.
Lo scambio di lettere tra i due avviene millenni dopo la guerra globale che ha cancellato le tracce della società precedente, dopo la quale le donne sono diventate il genere dominante. Nella distopia realizzata da Alderman, dunque, i sessi non hanno trovato una parità, e hanno semplicemente invertito gli equilibri. Una soluzione che si rivela tutt’altro che ideale per il bene collettivo, perché il risultato è il ripetersi di violenze e abusi di potere, stavolta ai danni degli uomini. Emerge così dalle pagine l’importanza di educare l’umanità alla gestione attenta del potere, perché qualsiasi sbilanciamento in una direzione a discapito dell’altra comporta una sconfitta collettiva.
Oltre a porre un quesito spinoso sulla realizzabilità di relazioni tra i sessi veramente paritarie e libere da condizionamenti, il romanzo di Alderman mostra anche, come dicevamo, il modo in cui le caratteristiche normalmente associate ai sessi (debolezza e cura per le donne, forza e azione per gli uomini) non sono una questione biologica ma sono invece legate all’educazione di genere, all’impostazione culturale e sociale, alla storicizzazione dei ruoli. Inquietante, in questo senso, la battuta di Naomi, che in una lettera scrive a Neil: “Credo che apprezzerei parecchio il “mondo retto da uomini” del quale parli nel libro: di certo un mondo più gentile, più attento, e – oserei dire – più erotico di quello in cui viviamo”. Ed è sempre lei a consigliare allo scrittore, nel finale del romanzo, di pubblicare il suo lavoro con il nome di una donna, raffinato tocco di amara ironia che sovverte il pregiudizio che tante autrici di fantascienza hanno dovuto subire, costrette a mascherare la loro firma dietro pseudonimi maschili o neutri (in quest’ultimo caso, sono da menzionare i casi di scrittrici che avevano nomi ambivalenti, come Leigh Brackett, ma anche quelli di scrittrici che usavano pseudonimi che annullavano il genere, come C.L. Moore o D.C. Fontana).
Nel suo articolo Utopian Thinking: How to Build a Truly Feminist Society, Naomi Alderman scrive: “Voglio vivere in un mondo che permetta a donne e uomini di essere vulnerabili e duri, coraggiosi e premurosi, senza che alcuna parte della ricchezza dell’esperienza umana venga negata”. Queste parole, così come il messaggio che emerge da Ragazze elettriche, affermano l‘urgenza di un cambiamento nella percezione del genere, inteso come lo svincolo dei sessi dai condizionamenti sociali per permettere a ciascuno di vivere e manifestare liberamente la pienezza del proprio sé.

Conclusioni
L’interesse senza precedenti per le distopie delle donne ha dunque più di un motivo di esistere.
Con la loro particolare forza ed efficacia comunicativa, le distopie femminili contribuiscono a sensibilizzare i lettori verso tematiche sociali cruciali, arrivando anche a ispirare l’attivismo politico per l’uguaglianza e la parità in un clima politico caratterizzato da una polarizzazione crescente (vengono in mente le manifestanti che, ispirandosi a Il racconto dell’ancella, hanno indossato abiti rossi e cuffiette bianche nel giorno dell’udienza di Kavanaugh alla Corte Suprema).
D’altro canto la Atwood stessa afferma che, in uno scenario dominato da un vero totalitarismo, queste opere non riuscirebbero ad arrivare al pubblico perché sarebbero oggetto di censura. Che è anche il motivo che abbiamo per rallegrarci con lei del fatto che, in questo particolare momento storico, il numero di persone che leggono (e scrivono) distopie sia in costante aumento.
Concludendo con le sue parole, “il semplice fatto che tu possa leggerlo significa che non ci siamo ancora arrivati”. Possiamo quindi lavorare affinché futuri diversi restino possibili. E lavorare insieme per realizzarli.