Oltre la singolarità
dalla rubrica Frame

Un’impennata verso le nuove frontiere, un’accelerazione improvvisa degli eventi che ci stanno rapidamente portando verso la nuova tecnologia: sembra questo il trend che caratterizza gli avvenimenti delle ultime settimane, ed è facile scorgerci dietro una decisa svolta verso i nuovi giorni, il nuovo mondo che tante volte la fantascienza ha descritto, spiegato, ci ha fatto vivere nelle pagine e immagini dei romanzi e film più arditi degli ultimi anni. Il salto quantistico, il richiamo al passato che non abbiamo mai vissuto, il definitivo abbandono delle vestigia umane in favore dell’evoluzione, della famigerata versione 2.0 della nostra razza; tutti questi aspetti chiave del Connettivismo sembrano far capolino nelle notizie selezionate qui sotto, prese - come ormai tradizione - in giro per la Rete. Cominciamo con le evoluzioni della tecnologia che comincia a utilizzare veramente i principi quantistici.

Il teletrasporto fa un passo avanti nella realtà. Una delle più affascinanti invenzioni della fantascienza mai create, ovvero il teletrasporto, ha acceso così tanto l’immaginario comune che anche gli scienziati hanno sempre desiderato di trasformarlo in realtà. E così arriva oggi da noi la notizia che in Danimarca sono riusciti per la prima volta a trasportare due “oggetti” diversi tra loro. I primi risultati si erano visti già qualche anno fa, quando due diversi team di scienziati erano riusciti a teletrasportare due molecole, anche se alla distanza della frazione di un millimetro. Oggi, il professor Eugene Polzik ed il suo team del Niels Bohr Institute, che si trova all’interno dell’università di Copenaghen, ha compiuto in gigantesco passo avanti, riuscendo a teletrasportare un oggetto macroscopico utilizzando la luce. Polzik spiega che la luce è stato il mezzo di trasporto, mentre l’oggetto era il contenitore delle informazioni, in questo caso alcune migliaia di miliardi di atomi di gas di cesio. Il processo ha permesso di trasferire usando la luce tutta l'informazione riguardante l'oggetto, quindi movimento, energia, campo magnetico. Al momento lo spostamento è avvenuto alla distanza di mezzo metro, ma sono convinti di riuscire ad aumentarla nei prossimi anni. Il sistema usato per il teletrasporto viene chiamato reticolo quantistico e secondo Polzik la meccanica quantistica è un sistema più sicuro di trasmettere informazioni rispetto a quelli tradizionali perché coinvolge il calcolo quantistico, ovvero la manipolazione delle informazioni nello stato di quanti, che include proprietà fisiche come l’energia, il movimento ed il campo magnetico degli atomi che compongono la cosiddetta informazione che viene teletrasportata.

Orion: il computer quantistico fa un salto avanti! Superata la prima prova, articolata su tre diversi compiti di elaborazione, ottimizzazione e riconoscimento. Il prossimo obiettivo del processore quantistico di Geordie Rose diventa ora un raddoppiamento della capacità computazionale entro fine anno. Particolare del sistema criogenico usato per raffreddare il chip a 16 qubit della D-Wave Systems, fino a pochi millesimi di grado sopra lo zero assoluto (-273,16 gradi Celsius). Nel corso della prima dimostrazione pubblica organizzata lo scorso 13 febbraio al Computer History Museum (Silicon Valley), in una sala gremita da curiosi e addetti ai lavori, il processore quantistico messo a punto dalla canadese D-Wave Systems ha superato tre prove escogitate per testarlo con problemi di ottimizzazione, elaborazione e riconoscimento. Orion, questo il nome del dispositivo, ha quindi dimostrato di potersi confrontare con successo con applicazioni commerciali, meglio di quanto possa fare un computer tradizionale a parità di requisiti. Gli operatori della D-Wave hanno agito a distanza sul loro dispositivo, che non si è mosso dai laboratori della sede madre a Burnaby (Columbia Britannica), dove un sistema di refrigerazione ad elio liquido provvedeva a tenerne la temperatura stabilmente pochi millesimi di gradi al di sopra dello zero assoluto. Attraverso questo espediente, i ricercatori e ingegneri canadesi sono riusciti a riprodurre stati quantistici da usare come qubit, ottenendo grazie alla bassissima temperatura una sorta di schermo protettivo dalle radiazioni e dalle interferenze ambientali, che possono rivelarsi letali per un sistema ideato per lavorare seguendo le delicatissime leggi della meccanica quantistica. Realizzato in tecnologia superconduttiva al niobio, Orion ha dimostrato di potersela cavare con compiti tutt'altro che banali. Interrogato in remoto attraverso la postazione approntata al Computer History Museum, ha infatti risolto tre problemi molto diversi tra loro, accomunati però da una certa complessità: ricercare strutture molecolari, creare un complesso progetto di posti a sedere e risolvere un... sudoku. Geordie Rose, responsabile del progetto della D-Wave Systems (di cui è anche fondatore), ha specificato che il dispositivo nasce come un computer specific-purpose (vale a dire orientato a una classe specifica di compiti, un po' come i processori nelle nostre automobili o, per fare un passo ancora indietro, nei nostri elettrodomestici), da usare quindi come complemento di computer digitali convenzionali, con lo scopo di estenderne le funzionalità e aumentarne le prestazioni piuttosto che sostituirli sul mercato. In effetti Orion è ancora un dispositivo embrionale anche se arriva con almeno un decennio di anticipo rispetto alle stime degli specialisti, che non davano come probabile la messa a punto di un QC (computer quantistico) prima della fine del prossimo decennio. Invece Orion ha sorpreso un po' tutti, sebbene non sia ancora in grado di eguagliare le funzionalità di un tradizionale computer digitale per uso domestico. La road map della D-Wave prevede ora di raggiungere un processore da 32 qubit entro fine anno, per arrivare addirittura alla soglia dei 1024 qubit (il primo kilo-qb) entro la fine del 2008. L'impresa sarebbe resa possibile dalla scalabilità della tecnologia, che dovrebbe permettere ai progettisti di interconnettere d'ora in avanti unità equivalenti al core usato per Orion. Geordie Rose ha dichiarato di voler sottoporre presto l'esito del test in lettura a una rivista di prestigio, che sappia valorizzare il risultato raggiunto dandone la rilevanza che merita. Per raggiungere il pubblico più vasto possibile, Rose prevede anche di rendere disponibile il prototipo on-line gratuitamente: curiosi ed esperti potrebbero sottoporre in remoto i loro problemi a Orion, che invierebbe poi la risposta dal Canada. E agli scettici impenitenti non resta altro da fare che restare scettici sulla sfiducia. Come dimostrano le dichiarazioni di chi ormai nutre dubbi solo perché una simile invenzione "sarebbe troppo bella per essere vera". Quel che sembra praticamente certo, invece, è che se un giorno Orion tornerà allo storico museo californiano della computazione non sarà come semplice curiosità, semmai come prezioso reperto dell'archeologia informatica dei nostri discendenti. [fonte: fantascienza.com]

L’avvento del postumanismo si respira anche dai sintomi minimali di una sofferenza verso l’antico sterile, verso il consolidato; la scrittura rappresenta una di queste molteplici forme di controllo stratificato, rivoluzionarne i modi di apprendimento e di espressione può, fattivamente, costruire il ponte verso il futuro postumano, che è già visibile.

Basta corsivo. Come riporta un articolo di Repubblica.it, la scrittura manuale in corsivo sta scomparendo in favore dell’informatizzazione di base. Dalle righe riportate sul quotidiano traspare un rammarico diffuso per questa realtà che sta divenendo sempre più schiacciante, una tecnica che gli attuali insegnanti faticano sempre di più a insegnare agli allievi e che potrebbe portare i giovani delle generazioni future a non riuscire più a comprendere cosa c’è scritto, per esempio, sulla Carta Costituzionale degli Stati Uniti (redatta interamente in corsivo). Noi connettivisti (molti, almeno) possiamo essere fieri, invece, di non sapere quasi più scrivere a mano; questa alfabetizzazione soltanto informatica che sperimentiamo sulla nostra pelle giunge come uno dei segni dell'avvento del postumanismo, di un'epoca in cui le informazioni saranno facilmente portabili (elettronicamente) e non più interpretabili e riproducibili in modo difficoltoso, bensì capaci di replicarsi all'infinito, istantaneamente.

Le suggestioni di mondi inumani che sconfinano nel nostro più spesso di quanto sembri fanno rivivere le immagini che il Gran Solitario del ‘900 (H.P. Lovecraft, di cui è recentemente ricorso il 70esimo anniversario della sua morte) ha inculcato nelle nostre anime: una dimensione caotica di scuro primordiale, animato da forme monumentali di nulla vivente, che influenza le nostre vite attraverso strali di orrore cosmico. Qualcosa al di fuori del ciclo carbonico che può vivere, effettivamente, anche nelle viscere del nostro pianeta.

I Grandi Antichi. Batteri in grado di vivere non solo sui bordi di un vulcano, nei giacimenti petroliferi, in fonti sulfuree, ma anche a quasi 3.000 metri di profondità, nel terreno, all'interno di una miniera d'oro che è poco meno di una periferia superficiale del pozzo gravitazionale terrestre, un luogo dove l'ossigeno è assente e, anzi, sarebbe fonte di sterminio per i bizzarri esseri vermiformi. E' questa la scoperta dell'equipe guidata da Tullis C. Onstott, dell'Università di Princeton, fatta presso la miniera d'oro sudafricana di Mponeng, vicino Johannesburg: batteri, che si nutrono dell'idrogeno derivato da acque scaturite dal decadimento radioattivo del terreno, che vivono in un ambiente che contiene uranio, torio e potassio in grado di ridurre in solfati i sulfuri. Lì, in quel luogo inospitale per noi esseri biologici dipendenti dall'ossigeno, lì dove la pressione è insostenibile, colonie di microrganismi prosperano da un periodo che va da 3 a 25 milioni d’anni; sono potenzialmente simili alle prime forme di vita che colonizzarono la Terra, quando non c'era ancora l'ossigeno e, probabilmente, analoghi agli stessi che si potrebbero trovare su Marte — o su altri pianeti — magari soltanto scavando un po' la superficie. Sembra quasi che continuum diversi dal nostro coabitino assieme a noi; è un po' come se i mondi alieni, che possiamo soltanto lontanamente configurare mentalmente, fossero davvero raggiungibili. E' come se le leggende d’esseri astrali, con cicli biologici totalmente diversi dai nostri, incontrassero continuamente noi inconsapevoli, perpetuando così leggende esoteriche di cui H.P. Lovecraft è stato il moderno cantore. [fonte: fantascienza.com]

L’invasione dell’infinitamente piccolo, delle tecniche e tecnologie che si avvicinano o sfruttano propriamente le caratteristiche del mondo nanometrico, è in espansione iperbolica; a ben rifletterci, tali teoremi arditi non venivano nemmeno formulati nella fantascienza più vecchia, non si riusciva a sperare di teorizzare una tale raffinatezza tecnologica, non era possibile immaginare l’uso di una pillola “intelligente” capace di riconoscere se l’uso che se ne era fatto fosse stato coerente, perché tale pensiero sarebbe apparso come una banale magia, un comodo cortocircuito verso la semplificazione e l’idealizzazione del concetto stesso di futuro.

RFID nelle pillole. Non stiamo parlando di nanotecnologia, ma poco ci manca. La Kodak ha messo a punto un sistema, basato sui famigerati RFID (identificazione a radio frequenza tramite un microchip e un’antenna in grado di segnalare dati a distanza, tecnica ormai usata in vari modi, tipo applicazione sui passaporti per tracciare e sapere subito con chi si ha a che fare) che va inserito nelle capsule medicinali, così da monitorare l'effettiva assunzione, da parte del paziente, del farmaco. 
Gli elementi RFID, una volta ingeriti, sono dissolti dagli acidi presenti nello stomaco e a quel punto cessano di trasmettere; nel caso in cui le pillole non siano state prese nell'orario giusto un allarme segnalerà, a chi di dovere, l'omessa assunzione. Oppure segnaleranno l'errore d’ingestione - del tipo “hai preso la pillola sbagliata” - permettendo la presa di contromisure mediche nei casi più gravi d’intossicazione. Estendendo il concetto, Kodak fa notare che tali elementi RFID hanno un range vitale ben definito - sia chimico ma anche meccanico - oltre il quale si distruggono; ciò significa che si possono ricevere informazioni preziose anche dalla durata del loro tempo di vita, applicandole - per esempio - a protesi meccaniche indicando così, nel momento in cui ammutoliscono, il momento di stress irreversibile della protesi stessa. [fonte: fantascienza.com]