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Ettore Fobo: nuovi panorami da osservare

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Inizia con questo numero una rassegna di poeti connettivisti o affini al connettivismo per sensibilità, percorsi culturali e/o esiti artistici. Si parte con la presentazione di Ettore Fobo, a cura di Alex Tonelli, in occasione della pubblicazione della raccolta Sotto una luna in polvere (Kipple, 2010).

Spesso si è detto che il Connettivismo è un Movimento open source, ma cosa significa realmente essere open source per una corrente letteraria, artistica e culturale?
Significa essere semplicemente osmosi.
Il Connettivismo si apre al mondo nel suo essere curioso e nel suscitare curiosità, nell’attuare un gioco di seduzione continuo e reciproco fra le proprie parole e le parole “altre”. Un’attrazione sincera, schietta, che non fa mistero delle diversità, delle differenti sensibilità, delle disparate origini ma che si alimenta continuamente, incessantemente in un meccanismo di rimandi che diventa vitale.
È un guardar fuori dalla finestra mentre si è guardati, ammirare chi ci osserva ed essere fascino per chi ci legge.
Tutto questo significa essere open source e tutto questo è avvenuto con il poeta Ettore Fobo.
Ettore Fobo è lo pseudonimo di Eugenio Cavacciuti, poeta nato a Milano nel 1976 che ha recentemente dato alle stampe per i tipi della Kipple Officina Libraria la sua ponderosa raccolta: Sotto una luna in polvere.
Il Connettivismo ha conosciuto Ettore Fobo durante la serata della Country NextCon svoltasi a Stentia il 4 settembre 2010; in quell’occasione il poeta milanese lesse alcuni dei suoi brani poetici più intensi e fu subito chiaro ai presenti che, pur con tutte le sue peculiarità e specificità, Ettore Fobo era una delle tante voci che segretamente, quasi inconsapevolmente, si alimentavano dalla medesima fonte da cui si sono nutriti in questi anni gli autori connettivisti. Ettore Fobo si è rivelato come un poeta segretamente connettivista. Vi era nelle poesie lette nella Sala Civica di Stienta tutto il misterioso sentore, l’indefinita sensibilità che colora e definisce la parola connettivista.
Certo, Ettore Fobo ha costruito la sua poetica leggendo autori diversi da quelli che hanno letto i poeti e gli autori connettivisti, nella sua penna vi è l’impronta evidente di Baudelaire, di Campana, di Rimbaud, mentre è completamente assente quella traccia, propria del Connettivismo, che porta al fantastico, all’orrorifico, con autori maestri come Lovecraft, Dick, Le Fanu.
Questa diversità però non toglie nulla al contributo che Ettore Fobo dà alla poetica e alla riflessione del Connettivismo, egli porta nuove origini, nuovi indirizzi, nuove sensibilità; prospettive che alimentano il Movimento con nuovi panorami da osservare e cantare. Nuove parole con cui indagare la realtà, con cui cercare l’Oltre.
Subito dopo quella sera della Country NextCon è germogliata l’idea di presentare, quasi che fosse un’occasione ufficiale, Ettore Fobo al pubblico di lettori del Connettivismo e agli autori che quella sera non erano tra il pubblico ammirato.
Nasce così questa breve e fotografica raccolta di alcune delle sue poesie che chi scrive ha trovato particolarmente adatte a raccontare il percorso poetico e la sensibilità di un autore consapevolmente contemporaneo ma che sa al tempo stesso dialogare apertamente con i grandi classici.
Per chi volesse seguire l’opera di Ettore Fobo rimandiamo al suo blog personale: ettorefobo.blogspot.com, in cui potrete trovare anche una bella recensione della raccolta poetica del Connettivismo Concetti spaziali, Oltre.
--Alex Logos Tonelli

***

Zero: universo sommerso

Cresce, disfatto ogni accordo,
il riecheggiare silente
della vastità.
Solo un’eco muta, rallentata
null’altro che silenzio amplificato
sulle bocche dei morti risuona.
E nessun occhio osserva
l’antico universo tremare,
per poi giacere immobile
nella sua quiete o bara immortale.

***

Narciso alla sua Eco

No, non sono io che l’ho creato.
Cosa, tu chiedi, cosa?
Ma l’universo, mia cara.
Lo sai, a quel tempo io dormivo
e fui svegliato come dal rumore
di gusci infranti.
Da allora quando dormo ho il terrore,
che la mia assenza cagioni un altro schianto,
un altro terribile suono.
E ora, tu chiedi, e ora ?
Lo so, dai tuoi occhi sento provenire
la muta ossessione di una domanda inespressa:

E ORA ?

E ora io torno a dormire,
non voglio sapere nulla,
nulla voglio sapere,
quest’orribile orribile silenzio
delle statiche stelle stanche … mi parla !

***

Icaro

Io resto a terra, solo,
a fare il morto, guardiano del vuoto,
che mi contempla uragano di foglie,
dove passando un gatto m’inchioda
alle parole da dirti, umane spoglie
a figurarsi l’intero infinito
immemore logos fetale,
dove si era tutto il nulla
dell’universo informe.
La perla dell’intimità brilla di luce rubata
alle profonde solitudini senza rimedio;
noi siamo due desolazioni che si specchiano
nel tarlo che le corrode reciproco:
lo spettro della grazia che trascende
la misura decisa dalla morte.

***

Eroina

Anime silenziose anime
del disonore l’aspide a bersi
anime curate col metadone ectoplasmi
esistono vagando nei sobborghi
sordidi rottami lasciati andare
a ridicola deriva negli spazi
di reclusione interna specie
non umana a decidere
tra morte e poesia.

Tre volte il vuoto ha organizzato
il notturno shock dei suoni
cavalcati in orgasmo suicida
nei locali adibiti
al trucco dell’esistere.
Fantasmi senza volto,
girovaghi per-da sempre
perduti. E non importa.

***

Impressioni lunatiche

Con aspide-nastro all’intorno,
una polposa luna albicocca
l’occhio, incantato dal vanire
infinito delle nuvole caduche,
guarda chimerica regina,
e sono chiodi roventi le stelle
sul cosmico cranio di un Cristo

Frale qui l’anima galleggia,
come un sospiro di neonato,
lattiginosa luna custodisce
la misura del suo primo grido.

In orfico silenzio fra fronde
(galassia intrauterina )
vita ultraterrena pulsa.
Ed è liquido l’umor della gatta:
evaporazione felina che guizza,
fra le erbe attizzate dall’ombra.

Scarabocchiato un infinito
sta in venatura di foglia,
è una goccia di latte la luna
ora sul pastrano dell’assurdo.

***

Tutto va bene

Ora prego il vuoto con stile. Penso, trafitto da televisioni,
conto su internet come un oracolo. Ho la visione orfica annacquata
ma l’amore mi stilla fiori, e va bene, indosso la faccia del suono.
Dirò il futuro con bocca antica, in un fremere di pioppi
c’è l’eterno che sospira: noi non l’udiamo, distolti dal male.
Abbiamo perduto le parole. Balbettiamo analfabeti.
Ci ronza una voce dentro, che è troppo umana.
Che fare? Naufragare in un infinito dissolto.
Oh grande vuoto! Sei la salvezza.
Tutto va bene, sotto un sole di cenere.
Tutto splende, sotto una luna in polvere.

***

Serpente

Forse il vento reca al serpente
il suo messaggio di polvere e nella tenda
accade una visione allo sciamano.
Aleggia l’odore di cavallo sudato,
qualche nube all’orizzonte
impegna il cielo in una lotta
vaporosa come il viso del bambino,
che la vecchia porta a bere.
Tornato dalla caccia, con la preda,
sangue raggrumato sulla mano destra,
ode nel vento il sorriso delle squaw
riunito per dettare un’altra legge.
La ragazza prende fra le mani una coppa da bere,
la vecchia lo osserva con il suo limpido occhio.
Stasera sarà la festa del villaggio,
egli vagherà lontano, per cercare
l’orma dello spirito, sulle tracce del serpente.

***

I morti

“Siamo fuor del marcire dentro un sacco.”

Carmelo Bene

Come se l’età delle belle energie non fosse già passata,
Io cavalco tutte le muse della mia giovinezza.
Fradicio di una copula onnipervasiva,
io cavalco le ancelle del tuono.
Sono questo gesto di fondare un respiro
sulle catastrofi più celesti. E’ orribile.
Siamo fatti di cielo nero e rimpianto,
custodiamo questo sprazzo di esistenza
e poi giù, nel nulla, orribili salme da bruciare.
Ciò nonostante, tutto prega; l’albero vuole cavalcare con me tutti i respiri.
Voglio gustare fino alla fine questa danza scioccante!
Io sono un folle ballerino, sulle tacite braci della notte.
Ho un amen assurdo che mi corre nel sangue.
La mia parentela è con la notte più profonda.
Saluto i morti, con cui ho avuto più di un’intesa.

***

Estate indiana

I
Il fuoco è un’ enorme cavità di segni
Pronunciati dal rosso in vibrazione
Sessuale di una danza di calore.

(Chi coglie l’umore vitreo delle donne,
se questo fiume passa , come oblio, sui nostri sogni? )

Sotto l’ala di un’estatica follia,
si muove il secolo
in un bagno di energia.
Ma ora è tempo di sentire il cielo
muoversi come un serpente.

Più lingua biforcuta
reclama lo sciamano,
e il limpido richiamo
delle foglie gocciolanti
è evocato da un sorriso:
l’incantesimo è tracciato
oltre ogni misura umana,
il silenzio delle cose
scordate dell’infanzia
fermenta sconosciuto.
Ogniqualvolta il sentiero
è battuto dai venti del risveglio,
le ragazze appaiono come funamboli,
sulla linea del riso e chi racconta di un sospiro
dice il mare più profondo.

II
Ogniqualvolta il vento
è ornato di un sorriso
trascina la polvere dei pianti,
fino al cielo più lontano.
Lo sciamano percuote il suo tamburo,
per creare una visione nell’occhio di cobra
della folla invasata che aspetta dalla sera
una rivelazione e un segno, e la paura.

III
La ragazza timida offre il ventre al buio,
dove luccica un occhio di desiderio.
La luna è una creazione della mente,
ovunque è spiritata l’erba accogliendo
vite più distanti delle stelle.
Il sesso dei guerrieri pulsa al ritmo di foresta,
lo sciamano, il poeta di questa energia
ha la certezza finale che tutto
salga da questo impulso per fondersi,
e poi sparire nella terra.
Lontano più lontano questa terra è fecondata
di sera immaginifiche nel profondo
di una mente infantile che sogna.
Ora il feto si sentirà farfalla,
e frammento di un universo in espansione.

***

Inquietudine, Dissolvenza, Dono

Nostra vela di inquietudine tu vibri
al vento più sottile della verità.
Scaturigine di silenzi improbabili,
giocati sul piano di una metafisica pirata,
scaturigine di ora e sempre sul livello
incalcolabile della bellezza.

Astro in fuga il mio canto
splende di letti e frugole lune,
nostra vela dell’inquietudine tu annunci
un mare più profondo di quello
che nella felicità si promette.

Il velo in lacrime di ogni cosa lacerato,
e dentro, nell’esplosione molecolare dell’infinito,
parvenza su parvenza, nessuna sostanza.
E’ la grande vacuità che incendia gli angeli,
mentre milioni di sciamani danzanti
gridano o balbettano questa verità,
e il bosco, che sa tutto, li ascolta, il suo viso
raggiunge il cielo dove tutto è un’onda
di dolcissima dissolvenza, io nasco ora
demone e creatura, notte senza fondo,
illimitata annunciazione di un vuoto più sacro
e dono all’azzurro del mare la mia anima nera.

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