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Il destino dei sogni irrealizzati
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Classe 1964, nato a Como ma residente in provincia di Rovigo, in un angolo di Bassa Padana che spesso fa capolino nei suoi racconti, Marco Milani è attivo dal 1991 con romanzi, poesie e racconti. Nel 2004 firma con Sandro Battisti e Giovanni De Matteo il primo manifesto del movimento connettivista. Cultore di letterature fantastiche e musica rock, per maggiori dettagli sui suoi interessi rimandiamo al suo profilo autografo e al suo sito, ricco di informazioni e contenuti.
Tra le sue ultime fatiche, ricordiamo la raccolta
Godzilla e altri sogni (Edizioni Diversa Sintonia, 2008) e i romanzi Black Blade (Kipple, 2015), Numero Dieci (Kipple, 2017), Stacho Quzbic. Il viaggiatore (finalista al Premio Urania, Watson, 2019), oltre a Ptaxghu6, scritto a quattro mani con Sandro Battisti (Edizioni Diversa Sintonia, 2010, edizione rivista e ampliata Kipple, 2015).
Esponente di quella che lui definirebbe fantascienza zen, Milani veicola attraverso le sue storie una visione disincantata e distaccata sulla natura umana, esprimendo un piglio ironico che mostra i barlumi di un’autentica saggezza. Come in questo racconto, che ci sembra un omaggio alle più sfrenate scorribande narrative di quell’inimitabile maestro della forma breve che è stato Harlan Ellison. – X

“Se avessi un’agenda, avrei anche un passato.
Se avessi un programma, avrei anche una morte.”
Rossano Del Pos

Capitolo 1 – Morte
La Luminosità sarà la mia prossima esperienza. Non posso più lottare, non ne ho più voglia. Sta sorgendo in me questo senso di trascuratezza, di caldo e freddo insieme, come se dolore e piacere si manifestassero allo stesso tempo. È un’esperienza intensa, la sento piena e potente, l’esperienza dell’unitarietà in cui gli opposti sono un’unica cosa. Lo sforzo duale per cercare di essere qualcosa di unico è totalmente confuso dalle due forze estreme: speranza e paura. I due sono così vicini da permettermi un certo rilassamento, e capisco... quando si smette di lottare la Luminosità si manifesta naturalmente. Sono pronto.
È un semplice velo, consolatorio, che lascia spazio a ogni congettura e al contempo comunica l’assoluta inutilità di qualsivoglia intento. Il messaggio è chiaro, come se l’aver vissuto fosse un istante realizzato in quella circostanza e immediatamente suggellato, cancellato. Il pensiero è unico, prima di svanire. Quando si perde, mi guardo intorno e resto in ascolto, in attesa di sensazioni.
Nebbia...
Chiudo gli occhi e mi concentro. Nebbia... Ed è un frangente quasi torrido, per una spirale travolgente che mi strappa verso l’alto. Poi è un vorticare caldo, subito caldo e quindi tiepido. Mi accompagna un sibilo brillante e crescente. Il senso finale è una scossa forte, completamente intima, e mi ritrovo a chiedermi cosa stia succedendo.
Battute di gong...
Percussioni costanti per una risonanza dapprima gravosa ma via via più familiare, bendisposta, rasserenante. Percepisco l’assenza di gravità insieme alla progressiva tranquillità e al desiderio di lasciarmi trasportare. Volare mi ha sempre fatto paura, incrociare il vuoto generato orrori psichici, la minima altitudine provocato vertigini. Sorrido ai ricordi e continuo a sentirmi come un estraneo in qualcosa di precedente insieme al nuovo cui sono avviato, volteggiando ormai in uno stato beato e strabiliante.
Battute... di gong...
La splendente luminosità della morte.

Capitolo 2 – Bardo
Mi sono risvegliato nella luminosità dopo essere stato coscientemente assente. È una comprensione improvvisa, percezione di luci e immagini all’opposto di corpo e forma. Ho reciso il filo che mi legava a corpo e mente, sono ritornato spazio. E lo spazio è azzurro.
Vairocana.
Eccolo lì, ancora una volta. Il bianco primordiale Vairocana è la visione panoramica che tutto pervade senza una nozione centralizzata. Sta meditando, e le sue quattro facce percepiscono simultaneamente tutte le direzioni. Apro la coscienza e vedo emergere la sfera degli dei. L’intenso azzurro è terrificante senza un centro a cui riferirsi e la visione della luce bianca è come una lampada che arde nel buio. Avverto l’attrazione della sfera. Anche se mi si è aperto un varco nella Realtà perpetua, sull’Immutabile, la situazione è irritante. Riconosco la fase: precarietà. Non c’è niente su cui indugiare.
Ho bisogno di più luce.
Trascendo lo spazio esperienziale evitando accuratamente ogni percezione, a priori; simboli, spiriti, l’attenzione di un’infinità di bodhisattva allo stato embrionale: farfalle appena sbocciate da bruchi mistici e status perfetti in via di sviluppo. Rifuggo gli intermedi, non servono; mi allontano dalla sfera esistenziale che prova a ghermirmi, eludo a fatica i richiami sinuosi dello stato onirico, schivo la meditazione rischiando di attivare un conflitto con le tre esperienze, morte–realtà–nascita, allineate orizzontalmente come una barricata.
Il Bardo no, non riesco a evitarlo. È la nozione primaria che devo ricevere: devo sapere qual è la strada da percorrere e poi, di conseguenza, decidere la via da intraprendere. La Coscienza, per tornare a casa, ha tre stati intermedi da oltrepassare a ritroso e trascendere, e questo è il secondo. Nella morte mi è apparso il Dharmakaya e mi ha mostrato la Luce, nel mezzo il Bardo Sambhogakaya mi obbliga all’esperienza. Nel terzo... Nirmanakaga, ma soltanto alla fine la coscienza intraprenderà a decrescere e infiltrarsi tra le incrostazioni della corporeità, unificando forze ed energie per arrivare alla rinascita; ma quest’ultima, per ora, rimane soltanto una nozione inconsapevole.
Mi restano dottrine da demistificare, misteri da svelare ed esperienze cui accedere. Il Bardo mi propone delle opzioni.
Hai tre possibilità di scelta.
– Vorrei provarle. Tutte e tre.
Fallo.

Capitolo 3 – Il Gioco
Rosso… Giallo...
Il cerchio d’accesso al SimbioTunnel si stava smaterializzato lasciando apparire la paratia.
Ora bisognava correre, Fabian lo sapeva. Correre con tutta la forza che aveva in corpo e non fermarsi mai. Non doveva lasciarsi distrarre da quello che avrebbe visto e meno che mai voltarsi a guardare indietro. Dipendeva tutto dalla velocità. Un’ultima regolazione al filtro delle protesi oculari per limitare la partecipazione ai fasci luminosi e alle strisce di colore. Un vecchio trucco.
Verde.
Era pronto.
Via!
Fabian scattò rapido e con un agile balzo si infilò nel SimbioTunnel, colpito in pieno dal campo di particelle fascianti e riuscendo comunque a evitare le placche–colore di rallentamento. Lo scaglionamento creava qualche problema per le classifiche, ma aveva la quasi certezza che davanti in relativo ne aveva solo due: Ruscan e Toledo. Toledo era una ragazza in gamba ma non avrebbe retto a quei ritmi. Per Ruscan era un’altra storia. Era comunque un buon inizio...
Alla riunificazione dei portali sovrapposti in partenza, alla prima prova in corsa sarebbe arrivato ad Ambient2 e da lì sarebbe stato scaricato nell’UniTunnel. Tutti i concorrenti nel medesimo ambiente e già nel passato; poche migliaia di anni ma la differenza tecnologica era lampante, le strutture trasudavano talmente tanta antichità e pressione reale che in alcuni concorrenti la voglia di ritornare subito indietro non passava nemmeno dopo il terzo scambio–ambiente. Crowding syndrome, ed eri fuori dal circuito.
Intanto doveva solo impegnarsi a correre e stare loro appresso, una volta attraversato il Confine e giunto all’Esterno avrebbe pensato a come giocarsela. La planata dalla scogliera era il suo punto di forza, e da lì verso l’oceano avrebbe accumulato il punteggio extra necessario: le difficoltà da applicare le avrebbe decise in base ai distacchi, non fosse riuscito a raggiungere i due e superarli.
Le bocchette distanziali ai lati del tunnel sfumavano e apparivano con impulsi progressivi e sempre più solerti. L’aria vibrava di puntini colorati in bianco e verde smeraldo che, a mano a mano che la sua concentrazione aumentava, andavano a compattarsi in chiazze assommandosi in una sfumatura di rosso–arancione.
Ecco... si preparò, il momento topico. Se la velocità fosse stata insufficiente, la botta sarebbe stata tremenda, tale da lasciarlo tramortito. Accelerò.
Intercettare Ambient2 fu come ritrovarsi assimilati in un telone giallo pallido, deformabile e vischioso come una mucosa organica. Poi lo strappo nel limite dimensionale si trasformò da una ragnatela che si sbrindellava silenziosa in una deflagrazione liberatoria da ogni limitazione; la gravità fugata in un attimo a togliere il respiro e subito a seguire la sensazione di vuoto sotto i piedi, infine la percezione corporale di dilatazione in un rinnovarsi di aromi pesanti d’altri tempi e di aperto, all’inverso della Cupola che lo preservava – nuova generazione di sopravvissuti – nel contaminato presente. Era passato oltre il confine. L’aria pungeva le narici con percezioni atmosferiche arcaiche di clorati e ozono.
Fabian continuò a correre ripensando in rapida carrellata e con orgoglio ai giochi già effettuati. Quanti? Quindici... o sedici. Sedici. L’UniTunnel è un cambio di ambiente a mixaggio tutt’altro che graduale, prese atto, del quale non ci si accorge perché la foga della corsa non lascia spazio all’osservazione di quello che si ha attorno. O meglio, tutto cambia ma non ci si fa caso subito perché si è raggianti e carichi, stimolati dalle neo–molecole efedriniche e anabolizzanti di PerindoprilSint rilasciati dal Farmcod all’impatto programmato con Ambient2, e con la voglia di arrivare per primo.
Capì che lo stimolo a effetto Lampo stava scemando dal respiro affannoso e dal suo corpo che iniziava a rilasciare le prime tracce di sudore. L’attenzione andò al Gioco. L’UniTunnel era immensamente largo: un semi cilindro di metallo e vetro con imponenti strutture a grate.
Il pavimento risaltava di un bianco lindo e incastonato di ostacoli colorati, tutti da evitare ed evitabili con un minimo di impegno, specie i rossi rostri irregolari e gli aculei amaranto, pericolosamente affusolati e inclinati a mezz’angolo. Ora davanti non aveva solo Ruscan e Toledo, ma anche altri tre partecipanti che non cercò di riconoscere per guardarsi alle spalle. Una mezza dozzina gli stavano appresso, eccessivamente appresso; il resto erano una bolgia di soggetti, almeno un centinaio, troppo distanziati per poterlo impensierire.
Doveva accelerare, anche se la fatica iniziava a sentirsi con il respiro appesantito, l’aria fresca sembrava raschiargli le narici. Ridurre il distacco per il possibile e giocarsi tutto nel salto/tuffo/creazione come già previsto. Al Confine Esterno non mancava molto, eppure con a ogni frammento di tempo in più sentiva le sue energie consumarsi.
All’apparire della nebulosa porpora, uno scalpitare nervoso e deciso si trasformò in un brivido vitale, quasi avvolgente. L’alta volta dell’UniTunnel prese a disseminarsi di piccoli globi e bacchette colorate rilucenti come cristalli. L’ulteriore salto indietro nel passato era solo questione di pochi attimi.
Gli ingressi dimensionali del Gioco stavano prendendo forma in friabili strutture pellicolari trasparenti, simili ai cerchi di fuoco del circo, con contorni vibranti e arancione. Una dozzina di ingressi per raggiungere altrettanti trampolini da cui spiccare il salto nella naturalità dell’Esterno.
– Yaaa... mpah! – Il grido d’arme dei Giocatori si ripeté accompagnando l’attraversamento dei quattro che lo precedevano; uno l’aveva da poco raggiunto e superato. Fabian piazzò le forze residue a mantenere l’andatura e saltò attraverso l’ingresso più vicino.
– Yaaa... mpah! – urlò a sua volta e sentì la sua voce smorzarsi nell’impatto, affondando nel nulla. Poi fu di nuovo in corsa, come se la continuità non fosse mancata: un lungo trampolino alla cui fine avrebbe completato il Gioco. Era migliaia di anni nel passato e ogni volta in più che ripeteva il Gioco, la conclusione sembrava diventare un’esigenza.
Fabian proseguì imperterrito nella vigorosa radiazione luminosa, la fatica dimenticata. Vide i piatti impassibili delle tre lune gemelle, eccessivamente venati di ombre e striature. Le nubi erano bianche e rade, la terra uno strapiombo alle spalle. L’insieme era un’immagine che proponeva un senso di illimitato, perché sotto, sapeva, lo attendeva il mare.
Un’ultima mossa avanti, di slancio. Trattenne il fiato e saltò.
Fabian percepì il battito cardiaco accelerare, il respiro affannarsi alla ripresa. Incrociò per un istante i due isolotti al largo – gli occhi dell’oceano – poi tornò all’acqua. Le prime bolle apparvero insieme agli iniziali segni di agitazione ordinaria: grosse pinne di squalo a rasentare la superficie, brulicame di Exocoetidae volanti a tracciare brevi linee sull’acqua come crepe su un vetro.
La stasi, la stava attendendo ad addominali contratti, lo accolse come una frenata nel miele denso e sembrava volesse respingerlo. Per un attimo si sentì costretto in un involucro invisibile e si ritrovò statico.
Bene, sospirò, è il mio turno.
Sfruttò gli appigli che ormai riconosceva nel campo di forza, imprimendo una rotazione antioraria al proprio corpo in asse, si piegò in avanti in un carpiato ed effettuò una lentissima capriola con una parziale inclinazione fino a ritornare alla posizione di partenza. Lasciò che senza interruzione alcuna la figura composta si riproducesse identica e la resistenza prese a cedere in rinnovata e pigra discesa verso la superficie liquida.
Fabian era in pieno flow emozionale, i movimenti fluivano consecutivi e privi di intoppi in un’espressione di eleganza poetica, come lo scorrere di un unico tratto a matita su un foglio vergine. Lasciò che la Figura scivolasse nell’aria ripetuta all’infinito, finché l’acqua lo accolse...

Capitolo 4 – Corpus Aquae
Sostanzialmente i dubbi, opzioni che non si dovrebbero verificare ma senza sperimentazione alle spalle a conferma, dicono Loro, rimarrebbero due. Primo, la mente continuerà a mantenere il controllo del corpo-massa anche nel durante e nel dopo? Secondo, riuscirà in caso a invertire il processo e farlo tornare allo stato solido di partenza? E questo l’ho capito. Prima di farmi mettere le mani addosso mi piacerebbe comprendere anche il resto ed essere sicuro di non rimetterci le penne. Decidere di provare a rendere più fragile la tensione atomica in modo che il corpo solido diventi meno solido e quindi plasmabile come l’acqua, o perlomeno tipo una gelatina, non è robetta, specie se il corpo in questione è il tuo. Acqua forse è troppo, direi, perché potrebbe scompattarsi e perdere pezzi per strada...
Quaranta ylaga. Ultima tappa di decompressione.
Pensiamo a questo va, che perlomeno è il mio mestiere bazzicare sott’acqua e lo so fare bene. Cinque minuti di standby. Loro dicono che sono troppi, ma non sono Loro terricoli ad andare in immersione e io me ne frego. È la giusta precauzione per qualunque eventualità, dai malfunzionamenti agli errori di calcolo, a qualsiasi altro imprevisto. Ho una modifica submarine e lo so per esperienza: non esiste l’eccesso di cautela, e la fregatura è sempre dietro l’angolo.
Cinque minuti e non di meno. La desaturazione dei gas inerti ha bisogno di tempo, anche con gli innesti pseudo-branchiali e la programmazione pressoria variabile per elio e azoto nei filtri. Poi risalirò, e Loro dovranno darmi delle risposte.

Quattro Divas in tunica bianca d’ordinanza e mostrine stavano attendendo la risalita di Darom dall’immersione oceanica. Se necessario, la disposizione era di usare la forza per riportarlo allo Speculum, ma di solito il retrom irriducibile ed eversivo era un fuoco di paglia: sbraitava, si arrotolava su se stesso e poi si smorzava diventando docile come uno snag.
Il Divas stellato allargò le articolazioni superiori emettendo due fiotti di vapore acustico. – Arriva?
Il Divas più vicino al limitare del molo allungò un tentacolo oculare fino a metà della piattaforma sottostante, verso lo scivolo. – La superficie mostra le prime increspature – compose in risposta con sei fiotti variabili.
Lo stellato vibrò di urgenza. Non erano in ritardo, ma sottostare alle bizze scontatissime di un retrom era una modalità che, da ufficiale militare, fosse dipeso da lui avrebbe trattato a colpi di scariche tachioniche e periodi asciutti. – A che punto è?
Una delle filisonde laterali all’oculare del Divas si protese sottilissima ad annusare l’acqua. – Molecole azotate in superficie, flusso costante... è fermo a quaranta ylaga circa.
Perfetto. Decompressione ed emersione. – Mered, Rhacba, preparate il barroccio e azzerate l’umidità.
I due Divas scivolarono rapidi dal molo alla sabbia.
Lo stellato parcheggiò i rimanenti istinti belligeranti e si predispose ad attendere. L’esperimento era importante e faticava a comprendere il comportamento antisociale di Darom, nonostante fosse una peculiarità caratteriale e ben conosciuta nel sottordine dei retrom e soprattutto fortemente acuita dalle modifiche. Modifiche che, purtroppo, dal suo punto di pensiero, a loro volta rendevano altissime le possibilità di riuscita lasciando da tempo immemore gli scienziati alle prese con metodologie ricattatorie e i militari impossibilitati all’azione nei confronti dei ribelli. Ormai più anfibi che aeropodi, integrati di recettori tattili e olfattivi, membrane nittitanti e timpaniche che sembravano grate metalliche di scorrimento arrugginite, mal sopportava la vista della dermica mimetica cromotoforica potenziata e priva di scaglie, termoregolante e inattaccabile dai microrganismi certamente, ma di una sommatoria estetica orripilante.
Meletorm, il bio-alchimista a capo del progetto Corpus Aquae, si era premurato con scarso successo di spiegargli i dettagli della sperimentazione. In qualche modo i submarine avevano acquistato un’assonanza molecolare con l’acqua. I legami subatomici, in specie nelle interazioni fondamentali, avevano assunto caratteristiche di reversibilità che generavano il fenomeno di ritorno alla struttura d’origine.
Variabilità di stato e controllo, aveva compreso in sintesi. Con lo sblocco dei legami e la stabilizzazione del fenomeno, se l’esperimento funzionava, i retrom avrebbero potuto sciogliersi in acqua e ricomporsi. Fenomeno dalle ampie possibilità applicative secondo Meletorm, preoccupante per lui stante la tendenza sovversiva dei retrom. Darom era l’apripista, il primo volontario.
Perlomeno non ti renderò comodo il viaggio. La serie di parafiotti si fuse in un unico vapopensiero appena percepibile.
Darom non si fece attendere oltre le previsioni. Mered e Rhacba erano atterrati con il mezzo di trasporto termico, il barroccio, a pochi passi dal limitare del molo e in posizione tale da coprire una buona fetta dei 180 gradi angolari; poi si erano scostati alla sinistra. Lo stellato era rimasto a coprire il lato opposto con l’altro Divas. Poteva essere eccessivo, ma il retrom era forte anche se non solerte come nell’acqua.
– Eccolo – vaporizzò Mered, il più vicino al ribollio motorio dell’ascesa.
Il retrom si ancorò con due sole ventose, arrampicandosi fluido sulla piattaforma. Si rizzò a quattro e ottimizzò a due appoggi inferiori scuotendosi dai residuati liquidi della sub-tuta, e sfilandosela veloce con gesti familiarissimi di modificato submarine.
– Mi cercavate? – i suoi vapori erano costellati di irregolarità sardoniche. Ripiegò e raccolse la sub-tuta e si avvicinò al mezzo di trasporto.
Il Divas stellato vibrò di intenzionalità represse. – Rhacba e Dixior, integrate su di lui e affiancatelo nel tragitto sul barroccio. Se non si attiene alle regole, flirtatelo. Possiamo consegnarlo anche un po’ rigido – finì vaporizzando irregolarità.
– Che esagerazione, Agente Whuut! – fiottò urgente Darom. – Non c’è ritardo all’appuntamento e, cosa primaria da considerare, parteciperò all’esperimento per mia scelta.
– Flirtatelo! – ordinò il Divas stellato.
– Non potet... – i vapori uscirono a strappi fino a esaurirsi.

Capitolo 5 – Neuralia
– E quando torna cosa farà? Vendetta? Amore?
– Non puoi ancora dargli caratteristiche prettamente umane. L’insieme Neuralia è un essere di sicuro psicologicamente instabile, combattuto tra mille anime diverse che lo compongono e non tutte disposte a essere assimilate in Unico.
– In effetti, la novità non è prevedibile basandosi su schemi conosciuti. Sono residui di anime, rimasti nel limbo perché, appunto, non hanno voluto procedere oltre, ma ritornare. Queste anime o brandelli di anime si sono uniti/unite, accumulandosi e aggregandosi nei millenni in un solo essere senziente. La sua forza e voglia sono accresciute e poi ingrandite fino a diventare un unico Neuralia, e adesso vuole tornare a vivere in questo mondo. La decisione ha creato una spaccatura e un filone dissidente.
– Quindi – scosse le fronde Mesobal – c’è il rischio di una scissione: Neuralia A e Neuralia B, diciamo così. Aggiusta la frequenza di segnale, Edros, ti vedo sfocato.
– Quindi c’è il rischio che la mancanza di unità pregiudichi il ritorno. In ogni caso non è un problema di terminale, siete voi Quercus Sapiens ad essere lenti in ricezione.
– Dovresti cambiare terminale verso un modello multispecie, invece voi frettolosi Hederae Ieiunium nemmeno ci pensate.
– Ecco fatto. Ho rallentato gli impulsi, e ti vengo incontro solo perché sei un amico.
– Grazie, la tua immagine ora è a fuoco. Non muoverti troppo in fretta per favore... – Mesobal sintetizzò un extra di sintoclorofilla per diminuire il divario. – Tornando a noi, aggiungerei che le modalità che abbiamo approntando per il ritorno dell’umanità creino più che altro qualcosa di nuovo. Neuralia & Cyber.
Edros vibrò in un frusciare di vigoria retorica. – Neuralia è energia spiritica. Lo spirito, l’essenza, deve trovare rifugio in una struttura cibernetica mobile per poter vivere in questo mondo. E questo incrocio darà vita a un nuovo essere sconosciuto.
– Le due fazioni hanno dato inizio a una specie di parlamento in cui singolarità si stanno definendo a posizioni di leadership. E se al passaggio successivo ogni singolarità volesse riposizionarsi con il suo personale Cyber?
– Stai andando troppo avanti, Mesobal. Reinnesta le tue radici e restiamo alla prima fase, per tutto il resto sarebbero solo una progressione di ipotesi prive di sostegno e con grande probabilità inesistenti. Lasciamo che avvenga il rientro attraverso la rete. I sogni elettrici del programmatore faranno il resto, come predisposto.
– Se il progetto andasse in porto e poi evolvesse verso le singolarità... quanto tempo occorrerebbe per finire in fretta di terraformare Marte?
– A che serve? Sarebbero in ogni caso Cyber.
– I Cyber non avranno problemi. Intendevo per noi. Già sappiamo che la Terra non potrà ospitarci ancora per molto, altri quattro gradi d’innalzamento e saremo al limite.
– Relativamente. Entro il secolo... non c’è imminenza.
– Relativamente, certo. Tanto vale concettualizzarlo subito.
– Beh, con la barriera magnetica a salvaguardia, posso affermare che in sette, otto anni, Marte diventerà abitabile. Non ottimale, ma abitabile. La pressione atmosferica sarebbe un quaranta percento circa di quella nostra attuale, comunque sufficiente.
– Qual è il livello di terraformazione al momento presente?
– Siamo al secondo. Per ora sono stati liberati nell’atmosfera otto milioni di unità di gas fluoridrici e la barriera magnetica è uno schermo adeguato per i venti solari e per trattenere i vapori in superficie. La rete di magneti generatori in orbita è assestata a 40.000 Gauss, da un paio di anni almeno e la perdita si aggira sul tre percento. La pressione atmosferica è attorno ai 20 kPa.
– La nostra è sui 100 kPa, giusto? Altri generatori da usare per accelerare?
– 112 kPa, per essere precisi. E semplicemente, per il successivo quesito, altri soldi, altri generatori. Poi bisogna far salire la temperatura fino a qualche grado sopra lo zero e infine arrivare ad avere una percentuale di ossigeno di almeno il 12. Dallo 0,10 iniziale marziano siamo al 2, 2,5 punto massimo polare. Per il resto l’acqua c’è e si lavorerà sulla trasformazione – concluse Edros, raddrizzando steli soddisfatto.
– Riassunto?
– Se hai i fondi da impegnare, riduciamo a quattro, cinque anni. Con tutta la buona volontà in applicazione rimangono sempre tempi esecutivi inderogabili.
– Va bene – Mesobal disse, ma era pensieroso. Lo si percepiva dal verde sempre più opaco delle foglie cimarie. – Neuralia & Cyber, e succeda quel che deve succedere.
– E diamo il bentornato all’umanità.

Capitolo 6 – Rinascita
Il frangente si va compattando, ma il rischio permane. Vajrasattva il solido e Aksobhya l’immutabile: sono a casa loro; ho bisogno di una via di deflusso.
Trasmodo l’acqua ed affioro con una indolenza esasperante, fasciato come sono dal candido riverbero della letizia-sfera. Quella è Locena, sta già realizzando la danza dell’occhio del risveglio... il mio risveglio.
È troppo tardi per qualunque ripensamento. Sto per lasciare il Nirvana...

Il Karma non bonificato rimane con un’aspirazione verso nuovi profili transitori, in un errare tra i sei mondi corpo-consapevoli in un’attrattiva costante e tormentata. Piani e stadi intermedi di coscienza, la rinascita è ineluttabile.
È una falsa quiete universale, profonda e infinita. È un raggiungimento empirico, all’apparente reale di sensazioni e sofferenze da ripetere in una capacità duratura, per un qualcosa di ordinato e in trasformazione. La struttura di un cerchio deposto su simboli complessi, con un centro: via discendente dopo la salita e la stasi.
Riappaiono le prime luci senza possibilità di distinzione, percepisco le prime note di una musica elementare e accenni di sensi ancora privi di comprensione. Un assolversi lento di coscienza che consuma segnali e agisce all’improvviso, rivolto alla dissacrata innocenza, stingendo e allontanando verità, quantificando ulteriori rinnovi.
La spirale è un impeto di calore che sembra respingermi e riportarmi al punto di commiato. L’unica certezza è che la chiara luce nasce da me.
Uomini o dei, spettri o demoni. Che mondo sarà? Non ricordo la mia scelta...

Capitolo 7 – Nascita
Bambagia verde e spillature di freddo. Lentezza e poi rapidamente fastidio.
Un lungo corridoio, un pavimento, una luce bianca. In fondo, una stanza. Non posso obiettare, mi limito all’osservazione.
Odori sgradevoli...

È il destino dei sogni irrealizzati: una scelta, una nuova possibilità.

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