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Obama e l'audacia del domani

Come cambia la prospettiva del futuro dopo l’elezione del nuovo presidente degli Stati Uniti d’America.

La carica simbolica che si accompagna all’elezione di Barack Obama, 44esimo Presidente degli Stati Uniti d'America, è di quelle che difficilmente potranno lasciare indifferenti. La sua corsa ha appassionato il mondo intero e alla fine, malgrado le riserve degli elettori conservatori e di quelli solo troppo patriottici per tollerare le interferenze del resto del mondo, ha sedotto anche gli americani. Che il diritto/dovere di pronunciarsi spettasse in ultima istanza a loro è sacrosanto. Che la loro scelta, come tutte le altre operate nell’ultimo secolo, finisca per interessare il mondo esterno oltre che casa loro è una verità inesorabile e per questo altrettanto pacifica.

Barack Obama ce l’ha fatta e la sua storia condensa in 47 anni di vita tutta l’essenza, lo spirito e il fascino del sogno americano che in troppi, e con troppa solerzia, si sono prodigati a svendere o svilire. A scriverlo è un comunista di tendenze anarchiche, quanto di più lontano ci sarebbe dal sistema America che da più parti non si perde occasione di esaltare con celebrazioni acritiche. Eppure fin dal primo momento, come è ormai noto a chi mi segue su queste frequenze e altrove, non ho fatto mistero dell’incredibile fascino subito a opera di questa figura carismatica, tanto per la sua storia individuale quanto per la concentrazione simbolica che ne ha accompagnato l’ascesa.

Non è solo una questione legata al dato puramente superficiale della pelle, sebbene è innegabile che come fattore abbia giocato alla fine la sua importanza: eppure in una nazione tanto affezionata alla propria fama da non tollerare accuse di razzismo, malgrado i dati sull’occupazione e la storia più o meno recente attestino una scomoda verità (dalla segregazione a New Orleans, passando per il Movimento e le strade di Los Angeles), è facile supporre che i due fronti opposti sorti intorno al fattore epidermico abbiano finito per compensarsi, cancellandosi a vicenda. Per di più Obama non è neanche riconducibile alla lunga tradizione americana dell’attivismo nero, come fa notare Toni Morrison: non ne possiede i requisiti di base come la discendenza da schiavi e neanche formativi, essendo stato allevato dopo la morte della madre dai genitori di lei, entrambi bianchi.

Come dimostrano i sondaggi della vigilia, a giocare il ruolo determinante nella definizione dei nuovi equilibri politici degli Stati Uniti è stata soprattutto la preoccupazione di fronte alla crisi. Una crisi che solo in prima istanza si identifica con la crisi economica che ha abbattuto in un disastroso effetto domino case, sogni domestici, banche e castelli di carta straccia, ma che a livello più profondo coinvolge la sfera umana nella sua totalità, dal sistema di valori alla cultura.

Con i contendenti in gara, qualsiasi esito avrebbe espresso l’ansia degli americani di cambiare, qualsiasi risultato tranne forse la beffa di una veloce – quanto al momento non prevedibile – staffetta presidenziale nel ticket repubblicano. Ma uno solo avrebbe potuto permettere a questo slancio di incontrare e fondersi con le aspettative di un pianeta intero.
Un dato altrettanto significativo delle scene di giubilo immortalate per le strade di paesi lontanissimi, a testimonianza della vocazione globale, universale, assolta dal candidato democratico, è venuto proprio dall’affluenza e dal responso delle urne. Questa volta, il presidente è stato eletto dalla maggioranza dei votanti, guadagnando le preferenze di uomini e donne, e di tutte le fasce d’età con l’eccezione degli over 65. A riprova anche del ruolo di conciliatore che Obama ha rivestito fin dal suo primo discorso. E niente forse è importante come questi elementi, in un momento che sembra improntato alla frattura, alla spaccatura, alla dissonanza.

C’è un mondo che corre e uno che rallenta. Ci sono persone che credono di poter salvaguardare i propri interessi nel disprezzo assoluto dei loro consimili e del loro ambiente, e ci sono masse relegate ai margini di una società che sembra destinata a soccombere sotto il giogo di forze tanto contrarie quanto vili, sotto un sistema di controllo e di potere che ha vincolato all’oblio e alla rimozione collettiva (che si tratti di diritti civili, povertà o nodi storici) la propria strategia di sopravvivenza.

Oggi possiamo rallegrarci dell’esito dell’Election Day se non altro perché un risultato diverso ci avrebbe consegnato alla totale chiusura di un sentiero che invece oggi appare praticabile. Un sentiero che è stato tracciato dalla parola che Obama ha voluto scegliere come chiave della sua campagna elettorale fin dalle primarie democratiche. E questa parola che rimbalza ormai da mesi, di bocca in bocca, di faccia in faccia, è ormai nota a tutti: Cambiamento. Non una promessa, quanto piuttosto un patto con il sapore del dovere, dell’obbligo leale, della necessità. Una vocazione a cui in tanti ci sentiamo di prestare la nostra solidarietà e il nostro sostegno.

Cominceremo a vedere con l'Anno Nuovo se la strada indicata da questo emigrante americano, nato dall’incontro di due mondi, cresciuto in una varietà di culture e passato per la strada e per i libri, saprà tenere fede alle nostre aspettative. Per il momento dovremmo assaporare il senso del domani ed essere grati a Obama per averci ispirato la bellezza del sogno. Il futuro, come c’insegna la fantascienza, è lo spazio delle possibilità, e lo spettro dei futuri possibili è oggi più largo di ieri. Adesso è ora di rimboccarsi le maniche. Non sarà un miracolo a riportarci in carreggiata, ma se c’era in giro qualcuno in grado di aspirare a questo ruolo, mi sembra davvero che da gennaio si ritroverà al posto giusto. E questo è un buon inizio.

COMMENTI

"e di tutte le fasce d’età con l’eccezione degli over 65" questa frase è importantissima: non ci rendiamo conto che è il perno su cui ruotano le vicende italiane. i vecchi sono tradizionalisti, nella maggioranza ottusi e bigotti e detestano mostruosamente il cambiamento, sanno che non potrebbero reggerlo. Ecco perché la nostra società non funziona, a monte c'è sempre la gerontocrazia imperante, la stessa che ha perpetuato i fenomeni come mafia e fascismo.

Evertrip, 22 novembre 2008, 13:01

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