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Trekker 2.0.10!
di Giancarlo Manfredi

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Giancarlo Manfredi, scrittore post-cyberpunk, grande appassionato di fantascienza televisiva e curatore dello storico sito Webtrek Italia, rivisita i temi di un articolo scritto qualche anno fa per Next con una nuova riflessione sul ruolo giocato dalla serie di Gene Roddenberry e dai suoi successivi upgrade nell’immaginario collettivo nostrano. - X/SP

In una qualche data tra oggi e Star Trek, tutta quella roba finirà nel computer. Nessuno mette mai in discussione il fatto che tutti i libri scritti durante tutta la storia umana siano nel computer dell’Enterprise, ma nessuno si domanda mai come ci siano arrivati. Noi siamo quelli che ce li mettono dentro.
(Michael Hart, promotore del Progetto Gutenberg)

Diario del capitano, data stellare 19042010,1314
La nostra navetta, nel tentativo di salvare l’umanità, è precipitata su questo pianeta alieno; in base alla Prima Direttiva - che impone l’assoluta non interferenza – il mio equipaggio si è infiltrato tra gli abitanti locali, adottandone usi e costumi. Pertanto siamo qui, spiaggiati come cetacei, in attesa di una missione di soccorso. Da qualche tempo però sta circolando una voce destabilizzante: che sarà l’Enterprise stessa a venirci a salvare, direttamente dagli universi paralleli. Attendiamo un segno.

Ci risiamo, il Pianeta Hollywood ha riacceso i motori della passione. Quando proprio tutto sembrava relegato agli “infidi meccanismi del ricordo” ecco che ti vanno a riproporre il reboot della saga, con nuovi attori, giovani e belli, un’astronave scintillante e un intero universo, vergine, da salvare/esplorare/conquistare. Maledetti!
Ma tale è il dilemma che si è posto ai trekker di prima generazione con l’uscita, nel 2009, del film Star Trek targato J.J. Abrams: rimanere relegati nel passato, confidando che sia comunque migliore del presente, o accettare il cambiamento e proiettarsi nel nuovo strano mondo che ci circonda?
Cerchiamo allora di fare mente locale: il ricordo, ovvero il processo di recupero di un contenuto mnemonico, avviene a partire da una serie di informazioni e di dati presenti in memoria, ma non necessariamente ben collegati, anzi, quasi sempre fissati in “engrammi” separati e conservati in varie parti della corteccia cerebrale.
Così, se dico Star Trek, ai più verrà in mente una sequenza di immagini/luoghi comuni/sensazioni – piacevoli o sgradevoli, fate voi – non collegate ad una valutazione complessiva su ciò che continuerò a definire il “videomito” del XX secolo.
Invece dopo 11 film, 5 serie televisive (più una d’animazione), infiniti saggi, romanzi e parodie, videogiochi, gadget e magliette e chi più ne ha più ne metta, forse un’analisi più razionale andrebbe fatta. Ma a chi gioverebbe?
Sembra infatti che un tale atteggiamento “vulcaniano” sia l’ultima cosa che serve alla nostra società contemporanea, dove le emergenze sono all’ordine del giorno, salvo essere rese fittizie e artificiali dalla continua mistificazione della realtà, confusa da irreali reality show e da talk show dell’incomunicabilità.
Tutto questo potrebbe ricordare i “fondali di cartapesta” dei primi telefilm della Serie Originale ma, a pensarci bene, ne è esattamente universo allo specchio, ovvero l’attuale realtà raccontata è la parodia di una parodia di realtà.
In effetti, se c’è una cosa di cui dovremmo tenere conto nell’opera di Gene Roddenberry è il valore delle metafore che venivano narrate (la guerra in Vietnam, il razzismo, il terrore nucleare, lo sfruttamento dei lavoratori: ricordiamoci che siamo negli Stati Uniti che, pur appena usciti dal maccartismo, stavano producendo movimenti socio-culturali che anticipavano un’onda europea del 68 ancora di là da venire), e che erano messaggi più reali della realtà raccontata al telegiornale.
La storia, ineluttabilmente, si ripete; il problema è che, nel frattempo, siamo diventati smemorati. Ecco quindi, dove i fan, con le loro manie da fanatici (elenco per brevità: imparare a memoria le citazioni negli episodi della saga, collezionare i gadget, rivedersi a ciclo chiuso tutti i film, travestirsi nelle convention e aprire dibattiti accesi su particolari pseudoscientifici) servono allora: a ricordare! Mi chiedete cos’è un ricordo? Certo non la riproduzione fedele dell'evento: è il risultato di processi di elaborazione, non un ripescaggio, fedele e obiettivo, delle informazioni a suo tempo registrate.
All’inizio è come una favola mitologica; solo in un secondo momento la narrazione diventa costrutto che è tanto più difficile da far riaffiorare quanto più è tempo è passato e quanto più l’evento è stato accompagnato da un coinvolgimento (o stress) emotivo. Ricordate, ad esempio, che negli anni ’60 in America e nel mondo c’era il razzismo come il sessismo, c’era la paura di una guerra nucleare ipotizzata e la guerra vera del Vietnam, l’incapacità di comunicare e condividere intenti tra i popoli del pianeta come pure le prime avvisaglie dell’insostenibilità ecologica?
Un film già visto? A quanto pare sì e questo significa, tristemente, che i trekker 1.0 non sono riusciti a salvare il mondo da quella velenosa globalizzazione, che non consiste nell’opportunità di condividere cultura, progresso e opportunità economiche, ma in una sorta di governo ombra, oligarchico e sovranazionale, votato al profitto assoluto nel breve periodo a scapito delle persone e del pianeta e certo totalizzante dal punto di vista culturale.
Ma dove sono finiti i nostri eroi? Qualcuno vive alle prese con un lavoro precario o alla ricerca di un lavoro, con i genitori che sono diventati anziani, con i figli da tirare su e un mutuo da onorare, o con un divorzio da dimenticare…
Forse, in attesa della nuova generazione 2.0 (i fan del capitano Archer o quelli del capitano Kirk alternativo di J.J. Abrams?) - attendendo l’Enterprise come qualcuno attenderebbe Godot - vale la pena “ricordare” che ci sono sempre missioni da riprendere e da portare a termine nonostante gli acciacchi. Un po’ come nei Blues Brothers, solo con indosso il pigiamino colorato del Capitano Kirk & co.