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Terre morte
di X
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Questo racconto è un esperimento ballardiano. Ma non solo. La sua stesura risale al 2004 ed è un omaggio per commemorare un anniversario. Terre morte vide la luce sul numero 0 di NeXT, quando tutto ciò che oggi conosciamo stava appena avendo inizio e non esisteva che in potenza. Oggi mi sono deciso a riprenderlo in mano per le stesse ragioni che mi spinsero a scriverlo. E' stata l'occasione per immergermi nel passato, ma anche per rimettere mano ad alcuni passaggi un po' arrugginiti. Questa nuova incarnazione di un sentimento covato a lungo, che ancora persiste sotto le ceneri, vede adesso la luce elettronica della rete. E il ciclo della vita e della morte, dell'estinzione e della rinascita, può proseguire.

L’auto scivola dolcemente sulla SS 407 mentre dall’impianto di diffusione dell’autoradio Sting traccia la sua posizione in relazione a Gerusalemme e alla Luna. Calato all’improvviso in una dimensione parallela, in attesa di non so nemmeno io cosa, mantengo lo sguardo fisso sul nastro d’asfalto che mi si srotola davanti dritto verso l’orizzonte. Di sottecchi continuo a cogliere gli elementi distintivi del paesaggio – campi desolati cullati dal vento di scirocco, il greto di un antico fiume disseccato e ridotto a canale di scarico, case coloniche abbandonate da tempo immemore, ruderi diroccati rimossi dalla memoria topografica del luogo che continuano a sfidare l’impassibilità del cielo come spettri ostinati. A sud le torri di una installazione petrolchimica svettano nella campagna, eruttando incerte lingue di fuoco nel cielo indaco del tardo pomeriggio.
Malgrado gli sforzi dell’impianto di climatizzazione, riesco a sentire la ferocia del clima artigliarmi la pelle: sono consapevole della natura psicologica di queste impressioni, il guaio è che non riesco a convincere il nucleo primitivo della mia mente. Il potenziale condizionante della visione è radicato troppo a fondo per venire by-passato. Devo tornare alla strada, ignorare i dettagli rivelatori del panorama e lasciarmi trasportare altrove dall’armonia ipnotica delle note…
Comincio a credere che sia stato tutto uno sbaglio. Questo viaggio, l’impulso improvviso e indecifrabile di un ritorno, nella vana speranza di recuperare con il tempo perduto anche scampoli di un’ispirazione dissoltasi nel vuoto… Il senso di vuoto: è questa l’impressione che domina la mia consapevolezza, come un’assenza che dopo un lungo periodo di latenza torna a far sentire la sua voce spietata.
Colgo con un brandello di consapevolezza l’avviso di un cartello stradale che annuncia con blanda disinvoltura l’ingresso imminente nel Territorio Denuclearizzato. Sento un brivido gelido scorrermi lungo la schiena. Scacciando il senso insistente di inquietudine allento la pressione sull’acceleratore e mi appresto ad imboccare l’entrata di un motel che pare scampato alla terza guerra mondiale. L’insegna al neon disegna con molta mestizia la scritta: IL FAUNO. Mi immergo in una familiarità consunta fatta di muri scrostati, imposte marce e vetri muti. L’abbandono delle camere è palese al punto da materializzare una visione di brande vacanti e misere suppellettili impolverate.
Se ogni cosa, quaggiù, sembra essersi fermata a una decina di anni fa, non altrettanto può dirsi per il prezzo del carburante. La nafta e la benzina hanno tenuto il passo con il valore del greggio sui mercati occidentali.
Giro la chiave e il motore JTD 1.900 si spegne con docilità meccanica. Un uomo dal passo incerto si accosta all’auto. Nella sua espressione senza tempo vedo rifulgere una vitalità antica e non del tutto umana. Mi chiedo come si possa conservare una pur ambigua traccia di umanità in un luogo come questo, in cui l’uomo ha cominciato a pagare per tutte le sue malefatte, ma lo sguardo arcigno che incontro sotto le folte sopracciglia da satiro mi distoglie dai miei inutili pensieri.
Chiedo il pieno porgendo le chiavi e il benzinaio si appresta a eseguire con una scrollata di spalle. La pompa si mette in funzione con un ronzio e un risucchio. Mentre il serbatoio si riempie mi concentro ancora una volta sulla suggestione aliena ispirata dal paesaggio. Pendici brulle di colline lunari, cespugli riarsi dal sole, sabbia soffiata via dal vento lungo il tracciato di un binario morto.
– Si ferma per la notte?
– Che cosa?
– Abbiamo una stanza – biascica l’uomo senza età. – Una stanza è pronta per lei. Libera. L’ho conservata per il prossimo cliente, alla partenza di quello prima.
Gli volgo un’occhiata interrogativa. – Si ferma molta gente qui?
– Qualcuno – taglia corto il benzinaio, regredendo improvvisamente all’originaria laconicità.
– Turisti del Territorio?
L’uomo annuisce, ma il suo silenzio non riesce a dissipare i miei dubbi. Pago in contanti e mi riprendo le chiavi. Improvvisamente la velocità è divenuta un’esigenza di sopravvivenza.
– Buonasera – dico riavviando il motore.
– Arrivederci – risponde il satiro, e d’un tratto la sua identificazione con la sagoma silvestre stilizzata sul frontale della vecchia costruzione in rovina mi si mostra in tutta la sua nitida completezza.

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