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S.I.N. - Stati Indotti di Narcolessia

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Racconto pubblicato sulla Iterazione 18 di Next, finalista all'edizione 2014 del Premio Italia nella categoria Miglior racconto su pubblicazione amatoriale.

Prologo. Autostrade fuori dal tempo

Il traffico continuava a scorrere nelle vene della città, ricordandoci che il mondo era ancora vivo. Il fuoco termonucleare aveva inciso a fondo il tessuto urbano, plasmando nuove forme nelle strutture di vetro e acciaio. Nell’arco della giornata le ombre dei palazzi disegnavano una coreografia cangiante, geometrie psichedeliche che producevano esiti imprevedibili sulle nostre menti. Era la percezione stessa del mondo e del tempo a risentirne. Senza che ce ne rendessimo conto, la realtà veniva costantemente riscritta nel non-spazio della nostra psiche.
Jim viene a prendermi quando si avvicina la sera. Il cielo sopra di noi è di un blu che si va spegnendo, ma che continua a ferire le viscere e i sensi. È un cielo ancora incandescente, un monito che resiste alle lusinghe delle tenebre.
Salgo in macchina e mi lascio guidare sulle strade che si perdono nella notte. I lampioni formano navate di luce.
– Le strade vivono al di fuori del tempo – mi ripete Jim. – Hanno lo scopo di imbrigliare la dimensione dei nostri incubi e dei nostri desideri.
Guardo fuori, nella notte pulsante di luci. La città è una barriera corallina su cui s’infrange la mareggiata psichica innescata dalle parole di Jim. Il canto remoto di onde d’asfalto culla la stanchezza dell’uomo, sull’orlo dell’Abisso.

1. Attraverso piani contigui di realtà

Abbasso il finestrino quanto basta per far sibilare l’aria nell’abitacolo e mi sento scorrere di fianco il corpo sensuale della città, il fruscio di seta dell’abito che ha indossato per la notte.
– Non darle troppa confidenza – mi avverte Jim. Quando guida, davanti ai suoi occhi si dispiega una planimetria olografica della città: la funzione d’onda collassa lungo il nostro sentiero spazio-temporale e torna indefinita subito dopo il nostro passaggio. Una volta Jim ha cercato di descrivermene le proprietà quantistiche e le sue parole mi richiamano alla mente quella vecchia lezione. – Come tutte le creature della notte, è intrinsecamente inaffidabile.
Socchiudo gli occhi e reclino il capo sul poggiatesta. Jim ha una guida sicura, matematicamente conforme al moto dominante nel livello di flusso del traffico che andiamo attraversando. È ineccepibile nella sua aderenza alla norma delle distribuzioni statistiche. Immagino gli schemi mentali che si succedono nella sua testa: un campionario d’informazioni sull’intensità del traffico, i volumi orari, il deflusso dai nodi, tenuto in costante aggiornamento attraverso le frequenze di Radio Cruise Control. Jim riesce a evitare accuratamente gli imbottigliamenti, dribbla le ore di punta. Il suo metodo si basa sulle leggi di Kirchhoff ed è infallibile per merito della sua rapidità di adattamento e di calcolo.
La sua guida riesce a calmare i miei nervi, ma produce anche un effetto collaterale. Subisco il suo potenziale ipnotico. Jim un tempo era un dottore e dice che la narcolessia fa parte della terapia che ha messo a punto per me. – Ti aiuterà, vedrai – mi ha assicurato più di una volta.
Nella mia testa, spettri elettromagnetici evocati dalle voci di Radio CC entrano ed escono dal dominio del sogno, rasentando il confine del dormiveglia.
Gli chiedo: – Dove andiamo stasera?
– Quant’è che ci conosciamo, ragazzo?
– E chi se lo ricorda più?
– E ancora non ti fidi di me, dopo tutto questo tempo? – Scuote la testa. Ne è trascorso così tanto, che ho cominciato a capire cosa mi sta facendo. Analisi dei transitori di livello profondo: bombardare la superficie della coscienza in condizioni in rapida evoluzione, fino a trovare un varco verso i livelli inferiori dell’inconscio, per poi modulare gli stimoli al fine di misurarne profondità, forma e caratteristiche. Un ecoscandaglio psichico. – Nema problema. Ormai sei pronto. Ti porto a conoscere una persona. Ha chiesto di incontrarci. A quanto pare, ha un lavoretto per noi.
A quanto pare, la prima fase della terapia è conclusa. Jim è una persona estremamente affidabile e scrupolosa. Non correrebbe mai il rischio di compromettere un incarico con un lavoro sbrigativo o poco accurato.
– Un lavoro, eh? Non vedo l’ora…
Con gli occhi chiusi, mi lascio accarezzare dal respiro della città sulla pelle. E il tocco delle sue carezze si fa via via più evanescente mentre ci addentriamo nello sprawl della periferia.

2. Sotto un’eclisse di coscienza

Incontriamo Blicero in una piazzola panoramica, ai bordi della strada di montagna che porta alla Diga del Dipartimento Metropolitano di Ripartizione Acque. Sopra di noi, la Luna si concede progressivamente al cono d’ombra della sua sorella siderale e si lascia inghiottire dalla notte. In fondo alla valle s’intravede la ragnatela di luci della città, dispiegata come un mandala, nella sua geometrica precisione da circuito stampato.
È Jim a farsi carico delle presentazioni.
– Il comandante Blicero – dice. Poi, con un cenno nella mia direzione, aggiunge: – L a mia recluta.
Blicero si aggiusta il borsalino. Ha occhi di ghiaccio ed è questa la prima cosa che mi colpisce. Penetrano l’oscurità da sotto la tesa del cappello di feltro che porta schiacciato sulla fronte.
– Ho sentito parlare bene di te – dice al mio indirizzo. – Jim è uno dei nostri agenti migliori. Mi fido del suo giudizio. Quando si è presentata l’opportunità di questo lavoro, ho pensato subito alla vostra squadra.
– Bene – dico, sentendo crescere l’euforia sulla lunghezza d’onda dell’adrenalina. – Di cosa si tratta?
– I tempi sono tornati maturi per diffondere il Verbo – sentenzia il comandante, con l’aria di un predicatore in estasi al culmine del suo sermone.
Faccio un cenno alla borsa posata ai suoi piedi, nel terriccio e nelle pietre che pavimentano la piazzola. Mi immagino, stipato al suo interno, un assortimento di bibbie e vangeli.
– Staremo mica parlando di testimoniare la parola del Signore?
Blicero non si scompone.
– In un certo senso, forse, potremmo metterla anche così – risponde, ricomponendosi nella sua aura di imperturbabilità. – Si tratta di spargere consapevolezza. Le strade del mondo ne hanno bisogno. È la realtà stessa a richiedercelo.
L’eclisse è totale. La città occhieggia in fondo alla vallata, all’improvviso più luminosa nel contrasto con la notte siderale.
Blicero si china, afferra la borsa e la solleva. La porge a Jim e dice: – Qui dentro c’è tutto il necessario. Maneggiatela con cura. E fate un buon lavoro, senza risparmiare un solo centimetro di spazio, né un solo microsecondo di storia.
Jim afferra la borsa con espressione grave. – Sarà fatto – assicura.
Lo scambio si compie sotto l’occhio segreto della Luna, che assiste non vista nel suo nascondiglio celeste.
– La nostra missione non conosce tregue – conclude Blicero. – È una guerra psichica, che ci impone uno sforzo di coscienza e resistenza.
Senza attendere una risposta, risale sulla sua auto nera come la notte, mette in moto e riparte, allontanandosi dalla città su un tappeto di tenebre e di note meccaniche. In cielo, una falce d’argento taglia il velluto della notte. La Luna si avvia a uscire dal suo temporaneo canto di oblio.

3. Sulla via del ritorno verso la città addormentata

– E adesso che si fa?
La domanda mi infastidisce prima ancora che abbia finito di pronunciarla. Mi metto nei panni di Jim, mi starà odiando. L’immedesimazione con lui è sempre più spinta, mi sento quasi in simbiosi.
Lo guardo mentre apre il portabagagli. Una luce azzurra lo investe. Nel vano riposa un bizzarro congegno. Ha una forma vagamente animale, come se il suo costruttore avesse voluto riprodurre in un motore a scoppio un paio di fauci senza occhi, una gola e forse un intero sistema gastro-intestinale.
Jim posa la valigia accanto alla cosa, la apre e ne estrae un cilindro di cristallo. Al suo interno, in sospensione, confinati in qualche sorta di campo magnetico, dieci microscopici punti di luce intensissima.
– Non fissarli – mi avverte. Poi spiega: – Questa è una cartuccia. Dieci ricariche. Dieci assalti allo spazio-tempo e alla dimensione psichica di chi lo occupa in quel momento. – Deve aver notato il disagio che si è dipinto sulla mia faccia, perché si affretta ad aggiungere: – Niente di definitivo. Il processo è reversibile. Serve solo a dare una scrollata a quelli che per troppo tempo si sono adagiati sulle loro certezze.
– È questa la nostra missione?
Annuisce. – Singolarità. Ecco tutto. Ne seminiamo un po’ in giro e lasciamo che facciano il loro corso sulla storia.
Appena pronuncia l’ultima parola, allunga una mano e dà in pasto la cartuccia al moloch innestato in simbiosi con la nostra Pontiac GTO convertibile del ‘69. Le sue fauci la ingurgitano bramose e la luce che s’irradia dalle sue viscere da blu passa a verde smeraldo.
– È ora di mettersi all’opera.
Seguo Jim a bordo dell’auto. All’accensione, il motore emette un rombo diverso, più carico del normale. Passiamo davanti a un treno merci in sosta in una stazione di campagna. La locomotrice Bombardier sembra sfidarci, ma forse vuole solo indicarci la via con i suoi fari accesi nella notte.
– Tempo di semina, ragazzo – annuncia Jim.
Ci stiamo avvicinando alla città. Intuisco la manovra di accerchiamento che ha in mente il pilota. Posso sentire l’ansia della cosa nel bagagliaio intrecciarsi al ruggito del motore.
Le nostre crono-bombe sono pronte a detonare.

4. Nell’alba dei sensi conosciuti

Il perché delle autostrade per il nostro tragitto lo ricostruisco dalle passate conversazioni con Jim. Le strade sfuggono al consueto flusso del tempo, sono zone franche, terra di nessuno. Le uniche distorsioni alla regola vengono dagli incidenti automobilistici, che rappresentano l’irruzione del tempo nella loro dimensione. Ma in assenza di scontri, collisioni, urti, guasti e uscite di carreggiata, le strade conservano la loro prerogativa di vivere al di fuori del tempo. E l’effetto si amplifica con la velocità. Più si va veloci, meno si risente del richiamo gravitazionale del tempo. E in quanto strade a scorrimento veloce, le autostrade esaltano questa caratteristica.
Disseminiamo le nostre mine spazio-temporali seguendo uno schema che Jim deve essersi prefisso da tempo.
Il moloch sgancia la prima e Jim, scrutando il cruscotto, commenta: – Cosa sarebbe successo se la Seconda Guerra Mondiale fosse stata interrotta da un’invasione aliena?
Dieci chilometri e tre uscite più tardi, via la seconda e Jim, risollevando gli occhi dal cruscotto, aggiunge pensoso: – Se il Giappone degli Shogun avesse scoperto l’America? Sei pieno d’inventiva, ragazzo! – esclama compiaciuto. – Altroché!
Ancora un paio di uscite, terza singolarità. Jim chiosa: – Questa è la migliore finora: e se Bill Burroughs avesse ereditato la Burroughs Corporation e ne avesse fatto la Apple e la Google della sua epoca?
E via di questo passo. Dietro ai miei occhi scorrono immagini di questi universi alternativi, storie parallele che risucchieranno gli incauti automobilisti destinati a entrare in collisione con le crono-bombe nella nostra scia.
Mi sento come un corsaro. Ma l’autostrada è sicura, per noi. Me lo ripeto come un mantra, pensando a quello che stiamo facendo, alle anomalie che stiamo incapsulando nella trama della realtà. Ripenso alla narcolessia e mi perdo ancora una volta sull’interfaccia tra la coscienza e il sonno.
– S.I.N.
– Cosa? – fa Jim al mio fianco, senza distogliere gli occhi dal nostro cammino.
– Sinner – dico. – Stati Indotti di Narcolessia. S.I.N. Come peccato.
– Siamo tutti dei peccatori, ragazzo – mi consola Jim. – Fattene una ragione e non dartene pena.
Continuo a entrare e uscire dalla realtà, mentre la missione prosegue. Nella mia testa riverberano le parole di Jim, pronunciate ora oppure un secolo fa, impossibile a dirsi.
– La terza guerra mondiale non è mai finita, ha solo trovato un campo di battaglia nuovo, adatto ai tempi che corrono.

5. All’intersezione tra i futuri possibili

Ci intercettano a metà dell’opera. Auto rapaci della Polizia Nova piombano su di noi con implacabili manovre da pirati della strada. Vogliono la nostra testa e sono disposti a tutto per prendersela.
– Lee, miserabile bastardo! – esclama Jim. Poi, a mio beneficio, aggiunge: – È l’alter-ego di Bill Burroughs, mio vecchio amico. Lo conosco bene. Avrebbe fatto meglio a tenersi le azioni della B. Corp.
Ricordo di avere sognato qualcosa a riguardo, poco fa. – Meno male che doveva essere un lavoro tranquillo…
– Senza la Polizia Nova, lo sarebbe stato senz’altro. Il loro arrivo complica un po’ le cose. Ma aggiunge gusto alla sfida…
– B. Corp? È la Burroughs Corporation di cui parlavi prima?
– Proprio quella – urla Jim, per sovrastare il grido delle sirene intorno a noi. Mi reggo forte, mentre cambia marcia e tenta una manovra di evasione approfittando di un semi-tappo nel traffico. – Proprio lui. Il mio vecchio amico Bill. Nel mio tempo, era un mio collega. In questo segmento, è Willy l’Uraniano, socio in affari di Blicero. Ma la Polizia Nova può spostarsi tra gli universi, saltare da una linea all’altra. E Lee viene da un posto che non vorrei mai vedere. Lascia che te lo dica, a differenza di Bill, l’ispettore è un bastardo figlio di puttana. Un sadico e un aguzzino. Se ci prende siamo fottuti.
– Benissimo…
Vengo sballottato sul sedile della Pontiac come un pacco. Poi il moloch rilascia con l’assenso del pilota la sesta singolarità e due delle cinque vetture che ci stanno alle costole ci sbattono contro senza nemmeno accorgersene. Vengono proiettate in una dimensione alternativa, in cui forse dovranno vedersela con una civiltà che non ha nulla di biologicamente riconducibile all’umano.
– Non posso rifarlo – si scusa Jim. – La nostra scorta si assottiglia. Non possiamo sacrificare la missione. La Resistenza viene prima di tutto, anche di noi…
– Forse possiamo riprovarci più avanti.
– Ormai avranno mangiato la foglia, ci presteranno attenzione. Però hai ragione, ragazzo. La missione va portata a termine.
– Dobbiamo seminarli…
Meno quattro…

6. Dove la notte si fa sottile…

– Te la senti, ragazzo?
Stiamo tenendo testa alle volanti della PolNova da ormai quasi mezz’ora e Jim sembra divertirsi alla guida della Pontiac modificata.
– Ancora quattro – aggiunge Jim, scartando per seminare una nuova mina spazio-temporale in maniera che i nostri inseguitori non v’inciampino accidentalmente, vanificando l’esito della missione.
– E con questa sono sette! – esclamo.
Ed è allora che i tirapiedi della Nova sembrano incattivirsi. Forse per la frustrazione, decidono di passare alle maniere forti. E aprono il fuoco su di noi.
Jim è un asso nello schivare la prima raffica, ma non può nulla contro il tiro incrociato degli elicotteri. La Pontiac perde carburante e si lascia dietro una scia verde.
– Ok, ragazzo, tieniti forte – mi avvisa Jim, allungando una mano verso la leva del cambio. – Passiamo alle maniere forti.
Estrae un cassetto dal cruscotto, mettendo in mostra un piccolo interruttore cromato per il momento aperto su OFF. Sembra eseguire mentalmente un conto alla rovescia e alla fine sposta la levetta su ON.
Uno strappo mi inchioda la schiena al sedile e la nuca contro il poggiatesta. L’accelerazione mi lascia quasi senza fiato.
Jim controlla l’auto con sicurezza, mentre ci lasciamo alle spalle gli inseguitori.
In tutto l’overdrive dura trenta secondi, al termine dei quali torniamo alla velocità di crociera. Jim inchioda e guida il muso uncinato della Pontiac in una serpentina verso il bordo della carreggiata.
– Abbiamo consumato gran parte del carburante – dice, la voce affaticata. Mi giro a guardarlo: la sua faccia è imperlata di sudore. Una smorfia si fa strada sotto i suoi lineamenti da compito signore di mezz’età. – Ma è stato meglio che seminarlo lungo la strada.
– Stiamo ancora perdendo liquido – gli faccio notare.
– E non solo la Pontiac – replica Jim.
Abbasso lo sguardo verso il suo addome, e capisco.
– Ti hanno colpito!
– Stavolta mi hanno beccato, già… Te la senti di guidare?
– Dobbiamo correre al quartier generale, devi farti curare…
– Non c’è più tempo amico mio, aiutami a passare sul sedile del passeggero. Poi prendi il volante.
– Ma cosa vuoi fare?
– Abbiamo una missione, ricordi? – Allunga una mano verso il portadocumenti davanti a me e lo apre. Vengo investito dalla luce smeraldina che s’irradia da un globo incandescente. – Vedi, quella è un’antenna psichica. È il recettore della cosa lì dietro, la bocca da cui si nutre dei nostri sogni e dei nostri incubi, che usa per innescare le cariche psico-spazio-temporali.

7. … e il passaggio diventa un semplice atto di volontà

Siamo Jim ed io. Ancora una volta. Uno di fianco all’altro.
Ma stavolta al volante siedo io, mentre Jim è innestato sul sedile del passeggero e nutre la sfera onirica, innescando le singolarità che detoneranno dietro di noi.
– Sei pronto Jim?
Annuisce, con gli occhi chiusi, il capo reclinato sul sedile, lasciandosi accarezzare dal respiro di seta della città.
– Andiamo!
Abbiamo ancora tre crono-bombe, mine che detonando scuoteranno il continuum psichico delle persone che vi s’imbatteranno. Ma siamo in riserva. Il carburante non ci basterà mai.
Sento le sirene della Polizia Nova avvicinarsi, icone neuroniche sulle autostrade spinali che percorrono lo scheletro metropolitano dell’agglomerato. Jim sogna: giganti annegati, spiagge terminali, piste d’atterraggio ai confini del deserto, mondi sommersi.
Sgancio una singolarità, poi approfitto di un varco aperto per invadere le corsie del senso di marcia opposto. L’autostrada a quest’ora è deserta. Sgancio la penultima singolarità: nuvole scolpite, fiori musicali, città di concentramento, megastrutture spaziali dalla geometria frattale, studi televisivi da cui viene trasmesso l’ultimo show di un’umanità tragicamente ripiegata su se stessa.
Faccio inversione e torno sulla traiettoria originaria.
– È l’ultima – dico a me stesso. Jim non mi sta più ascoltando.
Sgancio la crono-bomba e inverto la rotta con uno stridio di gomme sull’asfalto. Punto il muso diritto verso la singolarità. Vedo i lampeggianti delle vetture della Polizia Nova, i fari abbaglianti degli elicotteri corrermi incontro. Premo l’acceleratore, salgo di giri, scalo le marce.
La Pontiac azzanna l’asfalto.
E ci fiondiamo verso il mondo-zero, sulle esatte coordinate geografiche e temporali in cui Jim ha concepito il suo paesaggio interno codificato del Terzo Millennio, abbandonato alle forze dell’entropia.
Il sibilo dei reattori di un aereo di linea si trasforma in un tuono che amplifica il senso della transizione. Su di noi transita la mole di acciaio di un Boeing 747.
Fisso le luci di segnalazione incolonnate lungo la pista. Oltre la spianata, intravedo scorci di un panorama urbano familiare. Riconosco vagamente i profili architettonici che s’innestano sull’orizzonte. Mi volto verso il passeggero e dico: – Bentornato a casa, Jim.

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